“La
borghesia italiana si divide in due categorie: una è maggioritaria, enormemente
maggioritaria; l’altra un’infima minoranza. Lo 0,06 per cento (dicono le
statistiche) legge ogni tanto un libro: coloro che leggono regolarmente, cioè
coloro che si possono definire uomini colti, dovrebbero essere dunque, circa lo
0,02 per cento: ma tra costoro ci sono i tradizionalisti, gli universitari
ufficiali ecc.; solo lo 0,01 per cento in conclusione finirà col costituire la
vera e propria intelligencija della
borghesia italiana!
Quest’ultima si dovrebbe, in teoria,
dissociare nettamente dalla società in mezzo a cui opera. In realtà, non è
così.
Molti appartenenti a questa intelligencija, sono, infatti, dei
conservatori, o dei moderati, che si assumono, è vero, il ruolo di
contraddizione - meglio, di semplice opposizione classica - al mondo così com’è.
La cultura è soprattutto spirito critico e razionalità. Ma anche la borghesia è
critica e razionale. E poiché anche il mondo della pratica (l’applicazione
della scienza, l’organizzazione sociale, la produzione, il consumo) è cultura,
non si può dire che tale cultura della borghesia, nel suo fare, non sia critica
e razionale.
La vera e propria intelligencija, quella che veramente
contraddice la borghesia e veramente si oppone ad essa, è quindi ancora più
ristretta: alcune migliaia di persone sparse in un centinaio di piccoli ghetti
(molto aperti) qua e là per la nazione, a Milano, a Torino, a Roma e in misura
diversa nelle varie città di provincia. Se un’opposizione conservatrice o
moderata, dai caratteri necessariamente critici e razionali, in realtà non si
distingue - se non in una teorica maggiore volontà di bene - dalla società
borghese; in che cosa si distingue da essa un’opposizione progressista e
rivoluzionaria? In parole povere risponderei: l’intelligencija rivoluzionaria si distingue dall’intelligencija illuminata attraverso la
sua volontà di porsi fuori dall’universo borghese (i cui valori hanno mutazioni
autonome) per inserirsi in un universo increato e solo progettato che prefiguri
una società democratica operaia. Ciò li pone in uno stato di perenne, biologica
ambiguità. Essi vivono ubiquamente: nel mondo reale - questo, borghese - e nel
mondo ideale, ancora da fondarsi, in opposizione al mondo reale, e
presupponendone la distruzione.
In breve, quello che volevo dire è
questo: l’intelligencija più avanzata
si gratifica di uno spirito clandestino e frondista che le consente di
dissociarsi sia dal resto dell’intelligencija
moderata (e quindi fascista!) sia dal corpo enorme e repellente della
borghesia fascista tout court. La prima sensazione di questa intelligencija è quella di essere nel
giusto. Effettivamente essa lo è, non c’è dubbio. Ma in questa sua sensazione
di essere nel giusto essa porta con sé abitudini contratte nascendo, appunto,
nel mondo borghese da cui poi si è dissociata.
Prima di tutto, per esempio, il
moralismo, sia nelle sue espressioni più alte, sia in quelle più banali (non
per niente la progettazione del ‘libero amore’ della società comunista è stata
completamente bandita).
Il moralismo crea delle scelte, dei
canoni: ossia un conformismo che purtroppo non ha dettami (perché teoricamente
li nega), ma che non è per questo meno rigido.
I suoi dettami potrebbero in realtà
essere scritti; i suoi riti descritti. Basta partecipare a una riunione
culturale di uomini di sinistra, in uno dei gruppi della suddetta intelligencija: la scelta dei nomi, dei
libri, delle simpatie, delle adesioni, delle condanne, è tutta perfettamente
prevedibile, da cima a fondo.
Un’opera di cultura - eletta a
rappresentare lo spirito di tale minoranza e a beneficiarne di una ‘fruizione’
curiosamente acritica - vi viene difesa con la stessa passione formale e la
stessa disperata convenzionalità con cui un’opera mediocre viene difesa al
livello più basso o addirittura infimo della cultura ufficiale.”
PIER PAOLO PASOLINI
(Da: Petrolio,
1992 - postumo)
Edizione
speciale per il «Corriere della Sera», 2015, vol. 10, pp. 400-401.
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