Una volta, diversi anni fa, ho letto
qualcosa, parlava del come vivere e del come morire. Del come mangiare e come
camminare. È qualcosa che molti conoscono, almeno le persone che hanno letto
cercato trovato, che si sono interessate al pensiero del Buddismo Zen. Diceva,
questa frase: «Quando cammini, cammina, quando mangi, mangia, quando muori,
muori». […] Un famoso maestro giapponese diceva: «Se sei in riva al fiume, e se
senti la bellezza del fiume, se riesci a fare tutt’uno col fiume, allora stai
agendo intuitivamente con il tuo spirito Zen, col tuo spirito illuminato». E
fare questo non è niente di straordinario, è nella nostra natura farlo. Il
fatto è che spesso la nostra vera natura è ricoperta da idee ricevute, paure, pensieri
economici, aspettative, piccoli film mentali. Dall’idea che dobbiamo essere
efficaci, belli, perfetti. «Quando noi siamo staccati dalla nostra vera natura»,
diceva il maestro Zen, «allora abbiamo paura. Quando intuiamo che invece siamo
una cosa sola col fiume, col cielo, con l’universo, lì siamo in pace». […] Una
cosa secondo me importante è che quando diciamo “mente”, parlando del Buddismo
e dello Zen, dobbiamo cercare di non pensare alla mente come al nostro
cervellino ragionevole, la mente che fa i calcoli, che guida l’auto o che
controlla se abbiamo pagato le bollette. La mente, per le filosofie orientali,
è sempre una questione di mente-cuore-vita.
È
testa, sì, ma unita a intuizione, percezione, emozione. Respiro, poesia. È sentire
con la mente. Volare con la mente. Vibrare con il cuore stando radicati nella
terra. Dentro la nostra piccola vita. Con le bollette da pagare, la spesa al
supermercato, la persona di cui mi sto innamorando. Tutto questo e allo stesso
tempo qualcosa di più vasto di tutto questo, che comprende tutto questo, che è
ed esiste forse proprio a partire da tutto questo. Percepire il miracolo normale del vivere. […]
Degli
insegnamenti Zen la cosa più esplosiva trovo che sia questo fatto del
richiamarsi sempre, con costanza, allo spirito del principiante. L’innocenza
delle prime domande che facciamo da bambini. L’innocenza del cuore aperto,
della mente meravigliata. La mente l’occhio il cuore del principiante. […]
Prendiamo per esempio la calligrafia Zen. La calligrafia Zen consiste nello
scrivere nel modo più diretto possibile, così, giù, senza abilità, proprio come
farebbe un principiante assoluto, un absolute beginner. O un bambino. O un matto. Scrivere così, senza mirare, nel modo più
assoluto, a dar prova di abilità, a mostrare la bellezza, la grazia, l’accortezza
del tracciato. Senza ricercare la nostra piccola gloria. Ma semplicemente
standoci dentro, completamente dentro. Essere totalmente immersi nell’atto. In
quel gesto. Stando lì pieni d’attenzione, come se quella fosse la prima volta
che prendiamo in mano il pennarello (la penna) e scriviamo la parola. […] Se
noi riusciamo a metterci in questo stato d’animo, allora la nostra natura
profonda si esprimerà completamente in quell’atto. […] Lo scopo della pratica
Zen, mi sembra, è proprio questo: conservare, allenare, lucidare ogni giorno il
nostro spirito da debuttante. […] Quando non coltiviamo questa idea dell’arrivare
da qualche parte, dell’ottenere un certo effetto, del dimostrare qualcosa a
qualcuno, ecco allora sì che siamo dei veri principianti. Dei grandi dilettanti
nel senso bello del termine. E quando siamo aperti e debuttanti, allora è il
momento che stiamo imparando qualcosa sul serio. Lo spirito del debuttante è
anche lo spirito pieno di compassione e di poesia. E quando siamo nella
compassione, cioè nella poesia, lì siamo illimitati. […] Ricordo mio delle
elementari. Sono molto, ma proprio tanto, catastroficamente uno zero in
matematica. […] Bene, per me, questo spirito del principiante, questo spirito
Zen passa un po’ anche da quelle parti, nell’accogliere la me stessa bambina
che si inventava un suo modo per fare la prova del nove. […]
In quella
ragazzina incasinata io ho scoperto, col tempo, che c’è la parte migliore di
me. L’ho scoperto camminando, scrivendo, dipingendo, amando, soffrendo,
godendo, pensando. Questa è la parte che non si sente arrivata, che sa di avere
moltissimi limiti e che proprio a partire da questi limiti, incapacità, paure,
invenzioni e racconti sa di essere viva. E anche un po’ infinita.
ROSSANA CAMPO
Prefazione
a: Poesie zen, a cura di Lucien Stryk
e Takaschi Ikemoto, Roma 2014, Newton Compton editori. [Zen Poetry, by Lucien Stryk and Takaschi Ikemoto, 1977/1981. Traduzione
italiana di Adriana Ziffer Gallo].
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