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Non può piovere per sempre
«Cosa
sei? Un fantasma? Un pagliaccio?» «Qualcosa del genere…»
La
morte fa vedere qualunque cosa sotto una luce di distacco e il distacco genera
umorismo. Per questo, probabilmente, Eric Draven (Brandon Lee) ha adottato un
trucco sardonico, una volta tornato dalla tomba. I suoi dialoghi con i nemici
sono contrassegnati da un impeccabile sarcasmo, che rende la resa dei conti uno
spettacolo di delizioso humour nero. Però, il resto della figura di Eric è
funereo. E il corvo che veicola la sua anima è sempre presente, a ricordargli
che lui appartiene ormai al mondo delle ombre.
Non sto neppure a descrivere quale
lusinga sia la somiglianza fra il mio nome e quello del Corvo. Né sottolineerò
il mio amore per la colonna sonora e l’estetica del film, appunto The Crow(Il corvo, 1994; regia di Alex Proyas). Lo si potrebbe considerare
un tributo (involontario?) al gothic rock, oltre che alla musica metal e punk.
Oltretutto, il protagonista suona la chitarra elettrica in un gruppo omonimo di
una band gothic metal realmente esistente. E James O’ Barr ebbe l’idea
deliziosa di scegliere, per l’eroe del fumetto da cui il film è tratto, le
fattezze di Peter Murphy, il cantante dei Bauhaus. Il fatto che il personaggio
originale, anziché cantante, fosse un poeta è un’ulteriore lusinga al mio ego.
Il film mantiene comunque un certo afflato poetico, grazie alle citazioni da The Raven di Edgar Allan Poe e dal Paradise Lost di John Milton.
Inoltre
–come è notissimo- questa pellicola dominata da un Non-Morto ha portato alla
morte reale del primo attore, Brandon Lee. Un sottile filo con lo Stige?
In ogni caso, The Crow è un’epopea notturna, un tessuto di buio interrotto da
vampe di fuoco. Prima ancora di Eric, a essere protagonista è il lato oscuro
della grande città, con le speculazioni edilizie, le bande criminali, l’avidità
e la volontà di potere fine a se stessa. La città è un demonio pulsante che
inghiotte il protagonista e la sua ragazza (Sofia Shinas), proprio alla vigilia
delle nozze. Il dolore creato da questo Satana collettivo è più forte della
morte stessa. Ecco perché il corvo riporta sulla terra l’anima di Eric. Un
non-morto sorretto da un amore bruciante deve vendicarsi di non-vivi prosciugati
di qualunque sentimento e della loro stessa identità umana. Sono tutti morti, anche se non lo sanno. Il
loro capo, Top Dollar (Michael Wincott), ne è il più consapevole. Il suo pensiero
vive soltanto del passato, degli insegnamenti del padre defunto. L’infanzia finisce nel momento in cui ti
accorgi che un giorno morirai. Per questo, forse, anch’egli ha al proprio
fianco un “corvo” psicopompo: la sorella-amante (Bai Ling), che è –allo stesso
tempo- i suoi occhi e il suo “filo con lo Stige”, con i ricordi da cui non può
uscire. Dominato com’è dall’ombra della morte, il capo è insensibile a
qualunque lusinga terrena. Gli interessa solo la volontà di potenza, la capacità di lasciare sulla terra un’impronta,
un fuoco che si veda dal cielo. Come tutti
i veri nemici, Eric e Top Dollar appartengono profondamente l’uno all’altro. Ogni uomo ha il suo diavolo e non ha pace
finché non l’ha incontrato. Grazie al Corvo, il “superuomo” ritrova il
sorriso. Ma solo per essere caricato di tutto il dolore da lui causato e
scontarlo finalmente nella morte da lui sempre guardata in volto.
Eric
è un supereroe, certo. Ma non per la sua invulnerabilità di spettro. Lo è per
la titanica grazia del suo umorismo, con cui regge quel carico di sofferenza che
–come si è visto- non è stato spento nemmeno da Colei che tutto vince. Per
questo ha anche la forza di salvare gli amici dall’autodistruzione e dall’anaffettività.
La vendetta non sarebbe stata sufficiente al suo riposo, senza la premura per i
cari non ancora estinti. Eric è un angelo paradossale, forse –come suggerisce
un suo motto di spirito- addirittura una figura cristologica. Il suo spirito
redivivo sigilla il messaggio che cantava nel suo tempo terreno: Non può piovere per sempre. La tomba non
sempre dà pace. Ma l’amore sì.
Si sono capitata per caso nel tuo blog, che dire quest'articolo mi ha colpita molto, Jane Siberry mi ha accompagnata in un adolescenza veramente difficile.. ma che sicuramente mi ha fatto diventare la donna di adesso.. si, stasera tornerò a casa e la metterò su.. grazie
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Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco
Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere. Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co
All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza. Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i
Si sono capitata per caso nel tuo blog, che dire quest'articolo mi ha colpita molto, Jane Siberry mi ha accompagnata in un adolescenza veramente difficile.. ma che sicuramente mi ha fatto diventare la donna di adesso.. si, stasera tornerò a casa e la metterò su.. grazie
RispondiEliminaCara Luna Bianca, grazie a te per la tua graditissima visita a sorpresa. :) Spero che ci risentiremo... Un caro saluto! ^_^
EliminaCertamente ti continuo a leggere.. Un caro saluto a te
EliminaQuando c'è per troppo tempo pioggia, o nebbia si apprezza di più l'arrivo del sole.
RispondiEliminawww.missdreamer.altervista.org