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Eravamo due amiche al bar

Ho continuato a rigirarmi in bocca questa storia come una patata bollente da quest'estate, perché davvero non sapevo come raccontarla.

Due tazzine di caffè al bar.

Semplicemente, eravamo due amiche al bar e stavamo prendendo il caffè insieme, dopo tanto tempo che non riuscivamo a vederci di persona. I nostri lavori e le nostre vite ci avevano allontanato, come spesso succede. Ma un bel caffettino alla prima occasione non manca mai.

E di cos'abbiamo parlato? Lei mi ha detto del suo lavoro di operaia, di come, al momento, si trovasse piuttosto bene. Ma la "patata bollente" che mi ha lasciato in bocca risaliva a prima, a una sfortunata esperienza precedente.

Aveva trovato un impiego nel settore del confezionamento di cosmetici, con la prospettiva di un contratto a tempo indeterminato. Si trattava di maneggiare scatoline di cartone: beh, poteva farcela, no?

"Hai capito come si fa? Ecco, adesso devi farne trecento in un'ora."

Prego?

Comunque, si era messa d'impegno. Trecento o non trecento che fossero (ma questa non è mica Sparta!), aveva preparato quelle benedette scatoline per i successivi passi del confezionamento. Il tutto col sottofondo di quella tizia (la stessa che le aveva dato le istruzioni) che passava periodicamente a scodellare frasi motivational del tipo: "Guarda che, se vai avanti così, mica ti tengono qui!" (Ma volesse il cielo!) 

E le colleghe? Perlopiù, donne straniere con carico di famiglia e con l'urgenza di avere un lavoro qualsiasi. Figuriamoci se si sognavano di rischiarlo per difendere lei. Poi, sapete... c'è sempre anche quella maledetta fregola di sentirsi più bravi degli altri, anche se la nostra metaforica gara di nuoto è in una piscina di fango. Andate un po' a parlare di "solidarietà di classe" in una situazione simile...

In questo caso, poi, i locali dove si svolgeva la "gara" non avevano manco fili della corrente isolati in modo decente. E il titolare? Perché non faceva niente? Se non lo capite, siete più ingenui di me. 

A ogni modo, la mia amica è una di quei "giovani che non vogliono lavorare" (è nata negli anni '90), quindi aveva piantato in asso quella gabbia di disgraziati alla prima occasione e aveva trovato impiego in un'altra fabbrica. 

E io? Io ero solo "l'altra amica al bar". Avrei voluto scrivere intorno a questo una serie di considerazioni, parlare di "competizione fine a se stessa in una società di egocentrici alienati"... Ma vi sembro il tipo credibile per fare questi discorsi? Ho dimenticato da tempo il copione della persona seria. Oltretutto, di pseudo-semidei che credono di aver capito tutto del mondo e della vita ce ne sono già fin troppi. Io posso solo dirvi: meditate che questo è stato. Storie del genere succedono tutti i giorni e ustionano la bocca, quando si cerca di parlarne. Perché sono talmente del Menga che non sai nemmeno come raccontarle. 

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