Ripasso di Egittologia. Come per sberleffo, a ogni virgola,
vengono in mente gli stralci de La Mummia. Che
film d’Egitto! È proprio il caso di dirlo.
Io e mio
cugino l’abbiamo uccellato in televisione, una sera: uno di quegli episodi di
serendipità di cui si farebbe anche a meno. A dire la verità, siamo stati
uccellati noi: dai costumi d’epoca,
dagli scenari faraonici (letteralmente), dalla profonda voce narrante. Scoccato
l’incantesimo, non abbiamo potuto fare altro che seguire lo svolgersi della
sanguinolenta matassa. Anubi, perdonaci.
Il gran
sacerdote Imhotep ama la donna del faraone; ovviamente, costui (con tutto il
rispetto per i sacri arieti e i sacri tori) mal sopporta la corona a base di
corna. I due piccioncini lo assassinano; la buona signora, per non pagare lo
scotto dell’uxoricidio, si suicida. “Tanto” si dice “il mio batuffolino mi
resusciterà!” Come se fosse facile. Comunque, Imhotep abbassa il capo ed
esaudisce il modesto desiderio della sua amante. Pare che la cosa costituisca
sacrilegio, però. L’esperimento viene interrotto; il gran sacerdote e i suoi compagni di merende
vengono arrestati, per essere sottoposti a una magnanima condanna: essere
onorati della mummificazione ancora in
vita. Al ganimede innamorato, una piccola variante: estirpazione di occhi e
lingua, nonché eterno rodimento da parte di scarabei carnivori. Insomma, le
prove generali dei supplizi di Prometeo e di Tizio.
Passano i
millenni. A questo punto, si inseriscono altri ingredienti base: la bella,
l’eroe e il buffone. La bella è la bibliotecaria, che conosce a menadito più o
meno tutte le lingue e i sistemi di scrittura partoriti dagli Egizi; per il
resto, è così sveglia da realizzare uno spettacolare “effetto domino” con tutti
gli scaffali fra cui lavora. Strike!
L’eroe: un belloccione che, più che di scavi fra le pietre,
sembra dimestico di body building e parrucchiere.
Il buffone: il fratello della bella. Dovrebbe essere
archeologo; ma non troverete mai un archeologo che –come lui- giochi con le
mummie per fare scherzi alla sorella.
I tre partono
sulle tracce dell’immancabile mistero: una chiave e una mappa, giusto per
essere originali. Cominciano a fare un bel po’ di trambusto in casa di Imhotep;
la bibliotecaria trova un vecchio volume: il Libro dei morti, indispensabile manuale per chi parta verso l’aldilà
senza Alpitour. La bella non dovrebbe averne bisogno, per il momento; tuttavia,
si porta avanti con gli studi. Alza un tantino la voce, leggendo. Imhotep mal
sopporta gli schiamazzi al piano di sopra: si sveglia di colpo e (come se non
bastasse) si scatenano le dieci piaghe d’Egitto. Disperando della propria
quiete domestica, l’involtino millenario fa di necessità virtù: già che è
sveglio, pensa bene di farsi la barba e conquistare il mondo.
Prima, però, deve rifarsi una vita, nel senso letterale del
termine. Ossia: ricostruirsi un corpo fresco e funzionante, con un set completo
di organi. Per risparmiare, impiega materiali di recupero, sottratti ai corpi
degli archeologi che pullulano per casa sua.
Nel frattempo, si ammucchiano le “egizianate”: geroglifici
all’impazzata, beduini arrivati freschi dalle agenzie di modelli, tombe
maledette e scarabei assassini. Khepri (il Sole rinascente come scarabeo) non
avrebbe approvato.
Tutto conduce verso l’incontro con Imhotep. E si scopre che
l’avvenente bibliotecaria è proprio la sosia dell’indimenticabile faraona. La Mummia cade ai suoi piedi e
mette in gioco tutto per realizzare il proprio sogno d’amore: svenare la
beneamata, trasferendone la vita alla sua vecchia (!) fiamma.
Ci siamo
persi il finale. Non che ne sentissimo la mancanza; già si prevedeva che il
cattivone sarebbe stato rispedito a nanna e che l’eroe avrebbe conquistato il
cuore della bella. Magari, luna di miele sul Nilo…
Ciò che ha giustificato quell’ora davanti al piccolo
schermo, però, sono state le considerazioni a posteriori. La Mummia
è un prodotto d’intrattenimento che mostra platealmente cosa significhi
l’antico Egitto per l’ “uomo della strada”. Quello che non ha mai aperto un
saggio di Patrizia Piacentini o Christian Orsenigo, che non distinguerebbe un ankh dalla spilla della nonna, ma è
toccato dal fascino arcano di questa cultura. La forza dei simboli è anche
questo: imprimersi nelle menti al primo impatto. Per ammirare le piramidi, non
occorre sapere che incamminavano i faraoni verso il Sole e l’immortalità. Basta
vederle stagliarsi contro il cielo di Giza. Imhotep fu l’architetto della prima
piramide (e qui si vede l’insospettabile cultura di chi sceneggia film
“commerciali”): la Storia
si fonde con l’esotico à la page.
Ma la mise en abyme della
pellicola è (a mio avviso) una scena apparentemente marginale: quella in cui la
bella descrive all’eroe il processo della mummificazione. Il pensiero di
quell’eviscerazione sistematica gli strappa un moto d’orrore. Così nascono i
film truculenti: da un sobbalzo, dalla pressione su un nervo scoperto. Il
desiderio egizio di immortalità ha prodotto un monstrum. Questo è la
Mummia: l’uomo fattosi mostro, per non aver accettato il
limite della morte. Un archetipo, in un certo senso: e gli archetipi sono ciò
che rende l’antico vivo fra noi. Come Imhotep, sì.
Dulcis in fundo: anni fa, al Politeama
di Manerbio, ho visto la locandina del secondo sequel. Stavolta, ambientato in
Cina. Pare, infatti, che la simpatica usanza dell’imbalsamazione esistesse
anche nel Celeste Impero. (Viva la fantasia!) Vorrà dire che, un giorno, io e
mio cugino potremmo ritrovare in televisione la resurrezione d’un Involtino
Primavera. Con copie perfette della bella, del buffone e dell’eroe: tutto,
rigorosamente, made in China.
Una delle peggiori esperienze che ti possano capitare mentre ti aggiri per una sala cinematografica! XD Però il tuo articolo è bellissimo, gioietta! Chiaro, brillante e fa pure ridere un sacco! :) (Cmq: Dracula forever.)
RispondiEliminaBellissimo!!!!!!! Sempre più emozionanti, Erica! :D
RispondiElimina