Passa ai contenuti principali

Letture al museo: classiche, ma non troppo

“Classici ma non troppo” è la serie di eventi organizzati dalla Biblioteca Civica di Manerbio per promuovere antichi patrimoni culturali presso il pubblico cittadino. Abbiamo già assistito agli spettacoli multietnici nel Parco Rampini; con l’inizio dell’autunno, sono arrivate le “Letture al Museo”

Elena Baiguera, archeologa e conservatrice del Museo Civico di Manerbio, sul palco del Teatro Civico "Memo Bortolozzi" durante le "Letture al museo".
Elena Baiguera

            In realtà, sono state tenute al Teatro Civico “M. Bortolozzi”, ma con la partecipazione di Elena Baiguera, archeologa e conservatrice del Museo Civico di Manerbio. A lei è toccato il compito di inquadrare storicamente i brani letti e di introdurli presentando un reperto a tema.

            La sera del 5 settembre, il filo conduttore dello spettacolo è stato il cibo. Il reperto mostrato ai manerbiesi, in quel caso, era una coppa di grande valore, proveniente da Arezzo.

            Il 26 settembre, per presentare invece brani dedicati al tema del viaggio, Elena Baiguera ha scelto una lucerna di terracotta: oggetto d’uso comunissimo nell’antichità, ma presente anche nelle sepolture. È stata quindi indicata come simbolo di una luce in grado di guidare nel viaggio per eccellenza, quello nell’oltretomba.

            La voce narrante delle “Letture al Museo”, in entrambi gli incontri, era quella dell’attore Massimiliano Grazioli.

            Cosa va inteso come “classico”? Elena Baiguera ha citato Italo Calvino

Un classico è un libro che non ha ancora finito di dire quello che ha da dire (da: 'Perché leggere i classici', 1991). 

In questa categoria, rientrano certamente i poemi omerici. Come parlare di viaggi senza menzionare Ulisse? La voce di Grazioli ha fatto rivivere l’episodio dell’incontro con Polifemo: sentito e risentito, ma sempre di grande effetto. Fra le versioni celebri di Ulisse, non si può tacere quella dell’ “Inferno” dantesco: l’eroe “dal multiforme ingegno” è dannato insieme a Diomede, complice dei suoi inganni, nel cerchio dei fraudolenti, per l’esattezza nella bolgia dei mali consiglieri (canto XXVI). Questo è l’Ulisse del “folle volo”, che oltrepassò le “colonne d’Ercole” contro la volontà divina e andò incontro al naufragio con gli ultimi suoi compagni. 

L'attore Massimiliano Grazioli al Teatro Civico "Memo Bortolozzi" di Manerbio durante le "Letture al museo".
Massimiliano Grazioli

            Questo rimanda alla scoperta dell’America e alla caduta del tabù che impediva la navigazione nell’Oceano Atlantico, nel 1492. Ma… se il celebre evento storico si fosse svolto alla rovescia? La scoperta dell’Europa, un racconto di Achille Campanile (1899-1977), narra una versione decisamente alternativa delle grandi esplorazioni geografiche.

            Questa lettura ha preparato il giusto clima umoristico per l’ultimo brano proposto. Paolo Villaggio è un autore che nessuno si sognerebbe di accostare a Omero, ma… anche lui ha scritto di viaggi. In particolare, stiamo parlando della “tragica”gita aziendale di Fantozzi, nell’omonimo romanzo del 1971. Essa inizia a Trieste, con il varo di una nave petroliera. La madrina dell’evento è la famosa contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, che riuscirà a trasformare la “tranquilla” cerimonia in una sorta di ecatombe. Non andrà meglio durante la seconda parte del programma: la visita alle Grotte di Postumia si trasformerà in una peregrinazione per un Averno più buio e labirintico di quello dantesco. A suo modo, anche Fantozzi è un mito: come Ulisse, rappresenta un’epoca e uno spirito – in questo caso, quello dell’Italia benestante e industriosa degli anni Settanta. Il tema del viaggio, cominciato con toni epici e tragici, si è concluso all’insegna del sorriso (amaro). Ma sempre con un filo conduttore: la necessità di tornare a casa.

 

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 208 (ottobre 2024), p. 11.

Desideri fare il pieno di letture e viaggiare con la fantasia? Abbonati ad Amazon Kindle Unlimited!

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i