Passa ai contenuti principali

Religiosità in mostra: fotografare lo spirito

La festa della Beata Vergine del Rosario (7 ottobre), notoriamente, a Manerbio è “la Seconda [Domenica] di Ottobre”. Quest’anno, la consueta mostra organizzata dal Fotoclub Manerbio ha pensato bene di scegliere un tema concordante: “Religiosità”.
L’esposizione è rimasta aperta dal 7 al 9 ottobre 2017, nella Sala Mostre del palazzo municipale. 
mostra religiosità fotoclub manerbio
Parte della mostra "Religiosità"
del Fotoclub Manerbio.
Di Domy Pizzamiglio era l’inquadratura di due piedi devotamente scalzi, al Santuario Le Fontanelle di Montichiari. In Rue Saint-Anselme (Aosta), le prime lettere di una firma della moda formavano un “Dio” imprevisto. Da Borgo San Giacomo, venivano le immagini del Tempio Sikh: un frammento d’India trapiantato nella Bassa. E sempre indiano è il Baisakhi: la festività primaverile dell’anno nuovo, nonché commemorazione della nascita del sikhismo. Una partecipante a detta ricorrenza portava un velo simile a quello che indossavano le nostre nonne e bisnonne per recarsi in chiesa. Ancor più familiari erano i madonnari fotografati a Le Grazie (MN): un dito che ritoccava il labbro di una Vergine sottolineava il contrasto fra la piccolezza della mano e la vastità dell’immagine sacra. Un’altra immensità era quella del Duomo Nuovo di Brescia, inquadrato dal Castello. Si scendeva poi nella cripta della chiesa di S. Andrea a Maderno.
Il Tempio Sikh, il Baisakhi e i madonnari tornavano nell’opera di Gianmarco Brognoli. Si aggiungevano (fra gli altri): una Madonnina di Tremosine, l’abside romanico di S. Pancrazio a Montichiari, la cripta della chiesa di S. Orso ad Aosta (dove un gioco di lumi e ombre rendeva viva un’ingenua Pietà).
Rodolfo Antonioli aveva puntato su soggetti meno appariscenti, ma non meno significativi. Una corona del rosario sopra un ceppo di legno era intitolata “Sono qui”: una presenza divina imprevista, ma costante. “Signore delle cime” era omonima di un canto popolare e si riferiva (appunto) a una croce posta in alta montagna. “Il muretto” separava l’osservatore da un’altra croce (un diaframma tra la quotidianità e la rivelazione dell’assoluto?).
Alberto Curotti aveva firmato “Juri Brutto”: una rudimentale croce di legno e filo metallico posta sulla Cima Juribrutto. Un segno religioso proprio “Brutto” in senso estetico: ma disprezzabile forse per questo?
Anche gli scatti di Giacomo Pegoiani erano generosi di croci. Uno era “Perù”: due tozzi pali incrociati e vestiti di panno, ai piedi dei quali una peruviana lavorava la lana. “Religiosità Ladina” rappresentava invece un’edicola intitolata alla Madonna, in montagna. La scritta ladina “Mare de misericordia” suonava significativa, nella sua ambiguità. A Norcia, il crollo di un edificio aveva risparmiato un’immagine sacra.
Giancarlo Pini mostrava come un verdeggiante prato montano fosse un luogo degnissimo per celebrare l’Assunta. Poi, altri madonnari e le “Sorelle” velate di un convento; i “Riflessi in Val di Funes” mostravano un campanile “catturato” da una grata, in un paesaggio.
Silvio Lamponi documentava una Via Crucis vivente. In “Preghiere”, aveva trasformato un errore (una foto sfocata di un altare mariano) in un lampo di genio: i serpentelli di luce che percorrevano la visione sembravano proprio la materializzazione di vibranti orazioni. La serie continuava con un monastero tibetano, un tempio cinese, donne asiatiche che reggevano una sorta di rosario, una prosternazione nel Sahara e alcuni sacelli a Katmandu.
Costanzo Lini aveva ritratto una “Deposizione” fra vetrate gotiche e una processione a Favignana; faceva sorridere con un “Presepe di zucche”.
Nik Putignano mostrava Piazza San Pietro in attesa del Papa e una croce nei luoghi della Grande Guerra. Manerbiesissimo era “Il silenzio delle campane”: ovvero, le nostre campane appena restaurate.
Damiano Putignano concludeva la mostra in bellezza. Le “Sepolture mussulmane” erano un paesaggio di terra rossa. “Sui muri di pietra”, comparivano le immagini devozionali di paeselli. Prevalevano, nei suoi scatti, altari cristiani, processioni, cappelle votive nella natura, paesaggi di montagna e rappresentazioni della Passione: i segni più cari a molti manerbiesi. Per quanto il bisogno umano di rapportarsi con l’universo sia il medesimo ovunque, ciascuno riconosce i simboli che lo fanno sentire “a casa”.


Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 126 (novembre 2017), p. 8.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i