Passa ai contenuti principali

H.C. Andersen e i “Dialoghi con la luna”

Sì, Hans Christian Andersen è “quello delle fiabe”. Pochi conoscono i suoi Dialoghi con la luna (1840). Eppure, essi hanno tutto l’incanto e la mestizia di classici come La sirenetta e Il brutto anatroccolo. Non manca nemmeno quell’ironia che è un altro tratto di Andersen – e di tutti gli spiriti profondi e malinconici. 

Hans Christian Andersen, Dialoghi con la luna

            Distacco, malia, delicatezza: questo autore ha lo stesso sguardo della luna. Proprio a lei è affidata la narrazione. Il suo interlocutore è un pittore in cerca d’ispirazione, vero animo romantico che si ritrova nella solitudine e nel dialogo con la natura. Viene in mente Leopardi, coi suoi interminabili monologhi rivolti proprio alla luna. Col suo viso luminoso e amichevole, è destinata a raccogliere, in ogni epoca, i sospiri e le lacrime dei vari “signori Mai ‘Na Gioia”. Ma siamo sicuri che gli animi artistici e romantici non provino gioia?

            Andersen, probabilmente, ne provava, quando ritagliava le deliziose figurine di carta che ornano i Dialoghi con la luna. Doveva provarne anche quando componeva questi quadretti in prosa, questi “idilli” (toh, ancora Leopardi…).

            I ventinove brevi racconti sono presentati come scene a cui l’astro notturno ha assistito di persona. Dato che può vedere ogni cosa sulla Terra, le sue storie arrivano anche da molto lontano: dalla Cina, dal Nordafrica, dall’India… Proprio in India, per esempio, una ragazza compie un ingenuo rituale per sapere se il fidanzato lontano sia ancora vivo. Nella gioia di saperlo incolume, si dimentica del pericolo che lei stessa corre… Le ragazze di Andersen sono le sue figure più vive e commoventi, insieme ai bambini. Già, perché la sua luna li trova particolarmente carini. I momenti di genuino sorriso sono riservati a loro, sia che giochino con un orso ammaestrato, sia che “correggano e rivedano” le preghiere.

            Poi, ci sono gli artisti: scrittori di genio che si vedono preferire i raccomandati, attori incapaci d’esprimersi o maschere comiche dall’animo tragico. In tutti loro, è evidente il legame tra l’arte, l’amore e la morte: quello che spinge all’arte è sempre una forma d’amore senza cui non vale la pena vivere. E l’amore (in Andersen) è sempre rivolto a qualcosa di luminoso e irraggiungibile, come il corpo celeste che narra queste storie.

            Eccola qui, la vera gioia dell’animo romantico: il dono di sentire in profondità, di vedere nel buio come fa la luna. La vita gli si apre con tutti i suoi tesori di sublime, d’esotico, di magico, anche quando egli dimora in una stanza. Non riuscire a figurare ed esprimere tutto questo è la sua vera morte.

           

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio