L’ultima
conferenza del gennaio 2017 presso la Libera Università di Manerbio è stata
dedicata a un argomento di sicuro fascino. Il 26 gennaio 2017, al Teatro Civico
“M. Bortolozzi”, il prof. Fabio Larovere dell’associazione culturale “Cieli
Vibranti” ha tenuto una lezione dal titolo “Arie… celebri”. Dal patrimonio
immenso dell’opera lirica europea, il relatore ha tratto quattro esempi di arie
(= brani per canto solista disteso e virtuosistico) rimaste nel cuore degli
appassionati.
Il primo esempio è stata la
cabaletta “Quando rapito in estasi”, dall’Atto I, Scena II della “Lucia di
Lammermoor” di Gaetano Donizetti (1835; libretto di Salvadore Cammarano). Una
cabaletta è un’aria breve e orecchiabile. In questa, la nobildonna scozzese
Lucia di Lammermoor canta il proprio amore totalizzante per un signore rivale
del fratello. Il libretto è tratto da un romanzo di Walter Scott, “La sposa di
Lammermoor” (1819). Esso è una delle letture preferite di Emma, la protagonista
di “Madame Bovary” di Gustave Flaubert (1856). Nel cap. XV della Parte II, la
signora Bovary sta proprio assistendo a una rappresentazione della “Lucia di
Lammermoor” e si identifica con la sua voglia di fuggire sulle ali dell’amore.
La seconda eroina proposta da
Larovere è la celeberrima Violetta, la “Traviata” di Giuseppe Verdi (1853;
libretto di Francesco Maria Piave). Come la vicenda della nobile Lucia, essa si
ispira a una persona realmente vissuta: la cortigiana Alphonsine Plessis, detta
Marie Duplessis, morta giovanissima di tubercolosi. Alexandre Dumas figlio, che
l’amò, traspose la loro storia nel romanzo “La signora delle camelie” (1848).
“La Traviata” presenta tre ritratti diversi della stessa donna: frivola e
mondana all’inizio; compagna fedele e sobria nel secondo atto; pronta al
sacrificio nel terzo. Per non rovinare la reputazione della sorella di Alfredo,
suo amante, ha infatti accettato di rompere la relazione e morire di tisi in
solitudine. Larovere ha scelto proprio un’aria dal terzo atto, “Addio, del
passato bei sogni ridenti”. Intriso di profonda malinconia, questo brano
sottolinea il senso della morte come fine d’ogni cosa e l’empatia di Verdi con
la vicenda descritta: anche lui conviveva, non sposato, con la cantante
Giuseppina Strepponi, disprezzata dai compaesani per questo.
Per terzo, è giunto il ritratto del
giovane Werther, personaggio goethiano (1787). Dal romanzo epistolare “I dolori
del giovane Werther”, è nata infatti un’opera di Jules Massenet (1892; libretto
di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann). Il passo scelto da Larovere
era quello in cui il protagonista dichiara il proprio amore per Ossian: figura
di bardo medievale cui furono attribuiti i “Canti di Ossian” (in realtà, un
falso preromantico). Essi andavano incontro al gusto corrente nella seconda
metà del XVIII secolo: la riscoperta del Medioevo come epoca di fantasia e
forti passioni. In particolare, il Werther di Goethe si identifica nel bardo
che soffre e si duole d’essersi risvegliato alla cruda realtà. Di questo tratta
l’aria “Pourquoi me réveiller”, in cui il personaggio rimprovera al vento di
primavera d’averlo strappato al riposo.
L’ultima parte della conferenza è
stata dedicata alla “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni (1890; libretto
di Guido Menasci e Giovanni Targioni-Tozzetti). Essa appartiene al clima del
Verismo, che ricercava passioni e caratteri autentici non più in un’epoca
passata, ma nelle culture popolari di provincia. Titolo e argomento sono quelli
di una novella di Giovanni Verga (1880): in un paesino sul catanese, il giovane
Turiddu torna dal servizio militare e trova la fidanzata Lola sposata con un
altro. Diventatone l’amante, muore in duello col marito di lei. Per mantenere
il “colore locale”, Mascagni apre l’opera con una serenata dialettale: “O Lola ch'hai di latti la cammisa”. Il
contenuto dell’aria (e di tutto il melodramma) accontenta lo stereotipo del
“Meridione passionale e selvaggio”. D’altronde, la verità del teatro è sempre
artificio. E viceversa, magari.
Pubblicato
su Paese Mio Manerbio, N. 117 (febbraio 2017), p.
8.
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