I Cahiers de Cinéma lo annoverano come il secondo film più bello al mondo, dopo Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles. Eppure, pochi ne hanno sentito parlare.
The Night of the Hunter (1955) è diventato, in Italia, La morte corre sul fiume. Una traduzione infedelissima sul piano letterale, ma pregnante ed evocativa, migliore di monstra horrenda come Se mi lasci ti cancello (per Eternal Sunshine of the Spotless Mind). In questo film, si condensano l'esperienza e la passione di una vita, quella vissuta sui set cinematografici da Charles Laughton. Attore, si pone dall'altro lato della macchina da presa, per mettere a frutto anni di silenziosa osservazione. Il risultato è un capolavoro elevato agli altari della critica, ma condannato dal pubblico suo contemporaneo. Perché questa pellicola non ammicca agli spettatori, fornendo uno schema già noto (horror, giallo, rosa...). Come tutti gli autentici prodotti d'arte, è complesso e proteiforme, soggetto a molteplici interpretazioni. Vi si ravvisano il romanzo gotico, la fiaba, il thriller. Il simbolismo è tanto fitto da essere tuttora croce e delizia dei critici. Il confronto con La morte corre sul fiume è quasi obbligatorio per chiunque si occupi professionalmente di cinema, tanto da ritrovare allusioni e/o citazioni di esso perfino in certe scene de I Simpson. Non mancano passi metacinematografici: l’inquadratura dell’assassino che viaggia a cavallo, come proiettato su uno schermo; la finestra che ritaglia –di nuovo- la sua figura, cancellata dall’ingresso di una luce.
Il film si apre con un cielo stellato, in cui aleggia l'immagine aureolata di una signora: sobria, con i capelli raccolti in uno chignon. Ammaestra una corona di bambini, declamando reminiscenze evangeliche: "Non giudicate e non sarete giudicati"; "Attenti ai falsi profeti... Un albero si riconosce dai frutti. Così, riconoscerete i falsi profeti dalle loro azioni."
Quest'ultima frase sta ancora riecheggiando, quando la telecamera ci trasporta, pian piano, sulla terra. Alcuni bimbi scoprono il cadavere di una donna. Ed il suo assassino, che si sta allontanando, fa pensare proprio alla tipologia del "falso profeta". Il "reverendo" Henry Powell medita con se stesso e con il proprio personalissimo Dio circa l'atto appena compiuto. Un monologo freddo e crudele che contrasta con la bellezza del volto. E lo spettatore, chiamato a riconoscere l'albero dai suoi frutti, si sente restio, in qualche modo, a sentenziare. D'altronde, la medesima bocca aveva detto anche: "Non giudicate..."
Nel frattempo, la recessione economica sgretola gli Stati Uniti. In un minuscolo villaggio sul fiume Ohio, un giovane padre si riduce a compiere una rapina per evitare che i suoi bambini, John e Pearl, finiscano sul lastrico. Nella rapina, perdono la vita due persone. L'uomo viene arrestato; ha avuto appena il tempo di affidare un bottino da diecimila dollari a John, il figlio decenne, impegnandolo a proteggere il tesoro e la sorellina.
Il padre viene condannato all'impiccagione dallo stesso tribunale che aveva giudicato Powell poco prima. Laughton sottolinea impietosamente come la bilancia della giustizia umana sia priva di equilibrio: un uomo disperato deve morire in modo infame, mentre un serial killer se la cava con poco, per il furto di un'automobile.
Il peso della condanna ricade anche sul boia, un uomo sensibile costretto a quel mestiere per non lasciare le ossa in miniera, ora che deve badare -anche lui- a due bambini. I piccoli dormono; sembrano gli angioletti di tanta consunta retorica. Ma la scena non è ancora conclusa e già un coro di voci infantili deride John e Pearl, per il destino del padre. Non esistono angeli nel cielo di Laughton.
Willa, la vedova, è giovane e bella. E un tantino svaporata, sembrerebbe. Dichiara di non poter dimenticare il marito, ma non era neppure presente al suo arresto e -direbbe Oscar Wilde- pare diventata tutta bionda dal dolore.
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Mentre Willa dichiara di non volere un nuovo marito, il nuovo marito è in arrivo su un treno. Powell sa della vedova e dei diecimila dollari. Alla sua comparsa, come Bocca di Rosa, sconvolge il letargo del villaggio. Powell diviene il beniamino della signora Spoons, la quale -in verità- non deve faticare troppo per far cadere Willa fra le braccia di lui.
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La vittima finisce in fondo al fiume, ormai tutt'uno con la flora umida del fondale. La scorge solo un anziano amico di John, un vecchietto emarginato che vive su una barca in disuso. Ha sempre promesso appoggio al bambino; ora, però, le promesse crollano. Non ha il coraggio di denunciare l'omicidio. Il "vedovo nero" ha così modo di cambiare le carte in tavola, di spacciare se stesso per vittima, "abbandonato" dalla moglie.
Il romanzo gotico lascia spazio alla fiaba: Henry Powell, il "patrigno cattivo", assume sempre più la fisionomia di un orco.
Il piccolo eroe ha appena il tempo di caricare la sorellina su una barca ed affidare entrambi al fiume, come due novelli Mosè. Sulle sponde, si intravedono gufi, rospi, volpi: animali selvatici familiari all'immaginario.
Più di loro che degli umani si fida John. Gli umani, infatti, possono essere umili ed inoffensivi, come la donna che fa loro la carità di una povera patata. Ma sono anche coloro che imprigionano innocenti canarini -o innocenti bambini.
Unica figura con cui John si decide, finalmente, a fermarsi, è la signora Cooper.
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