Passa ai contenuti principali

Il microfono e la ciabatta

I venti di Sanremo sono –si sa- familiari a questo blog. Sono una fonte irrinunciabile di umorismo. In questi giorni, per esempio, aleggia nella mia mente uno di quei "proustiani fantasmi" di cui si diceva poc’anzi.
            Quando Anna Tatangelo propose Bastardo, F. alzò un sopracciglio. ‹‹Non mi dice niente››. Sospiro di sollievo per il suo longevo matrimonio: perlomeno, F. non riconosceva il proprio marito nella canzone. A dir la verità, si potrebbero riconoscere tutti e nessuno, nel testo. Perché il “bastardo” non ha fisionomia alcuna. Nemmeno si capisce cos’abbia fatto per meritarsi quel profluvio d’invettive. Lo sventurato non risponde; la sua donna l’ha zittito dal principio (“Non recuperare, ti prego…”). Dopodiché, è partito il fuoco di fila: “Voglio dirti quello che penso,/farti morire nello stesso momento…” E così via, lungo la stessa linea di cuccagna. Se non fosse per la splendida (ammettiamolo) voce della Tatangelo, si potrebbe avvertir l’eco dei piatti fracassati nella lite domestica. Una canzone che sostituisce la proverbiale ciabatta (o mattarello, battipanni… a seconda dei gusti). Spero bene, per il genere maschile, che questa non si confermi come scuola di confronto e dialogo per le donzelle italiane. Ma mi preoccupo troppo, probabilmente. Passano i giorni, si gabbano i santi e un Sanremo subentra all’altro. Anche la ciabatta più agguerrita torna al piede. Del resto, la tensione drammatica rotola a terra, quando ci si accorge che il testo plana su una citazione di Luciana Littizzetto. Ride bene chi ride ultimo, in tutti i sensi. Mi riassetto il derrière e passo a un’altra donna focosa, Gaspara Stampa (1523-1554):

Rimandatemi il cor, empio tiranno,
ch’a sì gran torto avete ed istraziate,
e di lui e di me quel proprio fate,
che le tigri e i leon di cerva fanno…

Non ha detto proprio “Ti amo, b…” Ma ci è mancato poco.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio