Roberta Calce –
Sottosopra (La
Caravella Editrice )
Ecco una poetessa solidale, che riesce a spuntare a sorpresa
per rigenerare dei sentimenti, conoscendo i propri limiti per riderci sopra, a
tal punto da poter considerarla inimitabile, vera.
A fronte delle
condanne che il genere umano sollecita da sé, dovendo piuttosto stare a stretto
contatto per vivere amorevolmente.
Il desiderio di ridare il giusto significato a tutto ciò che
si vede, assistendo da perfetti innocenti, daccapo, al film della propria esistenza,
batte dentro Roberta Calce; una donna
che ha la fortuna, subito l’inganno morale, di ricevere del sano conforto,
svincolandosi dalle riflessioni quotidiane che di contro scaturiscono da una
sorta di autorevolezza irrispettosa, che in fondo chiunque non è in grado di
determinare.
Come nella più fitta vegetazione, Roberta si muove
eternamente ispirata, seguendo la retta
via riconoscibile da un riferimento in carne e ossa, purché lei mantenga fede
liberamente agli spazi che si crea.
Qualsiasi difficoltà va approfondita per ritenersi pronti a sognare i soliti preziosi regali, quelli di una
volontà da svecchiare.
Il tentativo reciproco di cogliersi rimescolando la ragione
nutre la sensibilità del fanciullino che serbiamo da grandi, depura rivestimenti
passionali per lo spirito ammutolitosi in modo caotico, a causa di uno e più conflitti
evitabilissimi, abbandonabili nei vuoti d’ambizione oramai sanciti.
La poetessa si raffigura evitando d’intralciare il sereno
che volge di solito, come a toccare corde emozionali, evidenziabili se i
bersagli comuni la smettono di confonderci le idee; con una vista così possente d’animare il prossimo, ma riconoscendo di
dover compensare al massimo una confidenza inascoltata.
Colpevole d’aver dato
il cuore, Roberta si sente dentro l’intento, dell’amato, di costituire tramite
ambigue banalità un dolore lacrimoso ma decisivo per il destino di una coppia;
mentre la pelle sembra confessare rischiose attrazioni, ancor prima di donarsi
fatalmente al moto degli eventi ch’è così furtivo, seccante addirittura la
mente.
Sotto il maltempo che s’intensifica coinvolgendo il
rimpianto che gli occhi non trattengono, non ha senso separarsi nel profondo; alla poetessa non le resta che attendere il
sussulto del sentimento dall’altra parte, come a sovrastare per giunta
l’inabilità dell’oggi, fatta di appelli amari e privi d’entusiasmo, che
coincidono più che bene.
Tornare in auge
concependo parole soavi che resistano alle tendenze moderne, beh, non ha a che
fare con un insulto, e d’altronde si prova davvero piacere nell’intimo, argomentandolo
sotto trasparenti imposizioni… invece il sesso desta tormento, e non resta che
divertirsi alla faccia di coloro che deridono il di-verso.
Indumenti consumati svaniscono nelle nudità dovute, quando d’altro
canto una sconfitta per l’uomo consiste
nell’accettare delle debolezze di principio, magari dopo aver fatto credere
chissà cosa, con una leggerezza tale da non intenderla al restringimento
della coscienza.
Se poi l’altrove si
manifesta allora non puoi che ricavare energia positiva; nonostante il
tempo che passa dando adito a una furberia per cui serve ricordarsi in extremis
delle responsabilità prese per garantirle, con della persuasione che lasci il
segno nella memoria, al momento di godere come degli eremiti.
Ogni cosa si conclude sussurrando della complicità, purché
si abbia la forza di rivedere e lucidare atteggiamenti di facciata, con la
paura di perdere chi si ha affianco.
Ci pungiamo d’incanto
per della concretezza da saldare, con della foga tracotante mista
all’incertezza che rincresce, avendo di che pregare per della luce che si
sprigioni, senza vergogna alcuna.
La sconcezza sta
nell’essere passivi al genio incamerato, infatti ne va compresa la presenza
pazientemente, in mezzo a delle fatalità che son scadute non avendo risolto la
sincerità per ogni evenienza.
Pertanto il malessere sortisce piacere; seppur riproponga
inoltre immagini di piccole creature scalze che proseguono, senza importarsene
dell’impossibilità sin da subito di mordere, avanti con l’età immeritatamente,
piene di sé per avere in pugno meno di un euro, di una desolazione a dir poco
esauriente.
La poetessa sostanzialmente
riesce a descrivere tratti fisici, devastazioni sancite proprio dalla massa,
come a scandire l’urgenza di pensare che si è strumenti in esclusiva, offuscata
dalla vita da fermare per impreziosire, a costo d’intuire nulla da ingrandire
di per sé; volendo agire d’istinto, serenamente; avventurarsi con la navigazione
delle paure, divorata già dall’umano rapporto.
Una corrente d’aria giunge allietando la poetessa per una
favola che riprende, nonostante l’incontrollata foga sentimentalmente tralasciata,
tanto da distruggerne il bisogno di floreale essenza, con sincera crudeltà.
In solitudine Roberta scruta il niente, intervallato al
massimo da suoni di passiva comunicazione, per una forma di memoria
rischiarante al nuovo sorgere del sole.
Lo stupore vagheggia
preda del momento opportuno, l’osservazione s’immobilizza per ridestare
quest’ultimo, su cui concentrarsi, anche col tagliente riferimento espresso
da una madre di famiglia.
Occorre uscire fuori dai rifiuti fisiologici per
ripristinare purezza rinunciando sul serio a chi si approfitta di noi, privo di
quella sensibilità che serve per ricreare l’incanto di un sentimento per
esteso.
Cavità minuscole, invisibili, volgono al pregio, ora che
abbiamo a che fare negativamente, principalmente, con l’emarginazione, la
sottomissione voluta verificando gli attributi maschili.
La sorte viene
fissata dopo una bevuta rigenerante, non ci capacitiamo coscientemente, mentre
il tempo scorre indifferente.
La solidarietà le ritorna prepotentemente, in una richiesta
da completare nutrendo il suo isolamento con l’amore per il Prossimo, rimasto
incagliato tra atti di fede non spontanei, come ad attendere all’aperto che il
proprio respiro si ritempri, senza sprecarlo.
Se dotati d’indirizzi esclusivi, allora si rinasce per
salvarsi dalla morte: trattasi di ambizioni indomabili per speranze caotiche, movimentate,
che contengono l’infinitesima maledizione.
La poetessa invita il
partner a contribuire all’imperturbabilità di un legame, con una voglia dilagante
che la indurrebbe a scatenarsi in un riparo fatto su misura d’uomo, piacevole,
gustando delle debolezze purché rilanciate con energica passione.
“Esplodendo nell’ombra
del tuo desiderio”.
Una specie di sconforto procacciatore di rivendicazioni la
tormenta; Roberta resta sorpresa e priva di forze dinanzi al gagliardo contorno
che minimizza la raffigurazione della più recente distensione di una persona
per lei speciale in fondo, che andrebbe premiata volendole praticamente più che
bene se ciò fosse possibile.
Purtroppo niente
colma la realtà, sapendo che la depressione è una brutta bestia, ma che in
fondo molti soffrono maggiormente, quindi vale la pena farsi intercettare e
lasciarsi benedire quotidianamente, al risveglio.
E’ duro constatare
che i perdenti s’incattiviscono, eppure si deve proseguire in grande stile per
non cadere nel rancore.
Desiderosa delle
proprie capacità - da rivitalizzare in luoghi fidati, ossia delimitati da
ferite carnali, sanate - la stanchezza dipende dall’atto d’amore, da cui
però ne consegue la contemplazione della felicità, l’innalzamento di una
fisicità maschile a ricoprire fedelmente quella femminile, che permette lo
sbocciare di gemme primaverili, folli, con un cronometro sempre incalzante, ad
annullare i contatti fatali.
E’ fantastico secondo
la Calce
cogliere l’uomo in balia del suo senso di trasporto, portatore d’illusioni
fuori dal comune per una soddisfazione non avente eguali, per cui fremere tutti
dacché mentalmente attratti, oltre che realmente posseduti; giustappunto per
svettare in un battito di pensiero, come donna.
“Tu sei un uomo mentre
io una sognatrice”.
Al momento che l’agonia traspare in generale, il minimo
cenno d’intesa del suo uomo fa capitolare la poetessa, nella pelle viscida e
rivoluzionaria di un disegno divino che le comporta lo scorrimento di distese a
perdita d’occhio, dettate da una fisicità d’insieme affogata e satolla.
Inoltre, sulla gioventù andata puoi rosicare per un tale che
ti ha fatto perdere stupidamente la testa, con un furore tendente all’armonico,
singolare biasimo, che ti ha magari relegato a sopportare il fracasso
derivabile dal mutismo emotivo.
Per credere in se stessi non bisogna eccedere, bensì
affidarsi al cammino dell’età, a costo d’insaporire un tozzo di spirito col
brodo che si ottiene aspettando un’illuminazione.
Candidi sono i
cattivi pensieri che perciò addolorano, quando è buio ma l’altrove ti rapisce
riuscendo a scovarti nel bel mezzo di un reprimibile arcano.
La selezione dei
versi in questo caso dipende da una graduatoria personale, grazie alla quale si
rilevano i più interessanti secondo i lettori “storici” (tra questi, i
visitatori incalliti di www.poesieincalce.com
ch’è uno dei pochi se non l’unico sito letterario nel web perlustrabile
dagl’ipovedenti), degni di un’anteprima (merito di Jacopo Uccelli).
Senza dimenticare le
preziose collaborazioni di Federica Angelucci, che da fotografa esperta qual è ha
lavorato seriamente per sviluppare prontamente il miglior scatto nel quale si
possa identificare l’autrice del libro; e di Elisabetta Ligaboi, che ha ideato
la copertina con sagacia creativa, in maniera informale, ritrovandosi con la Calce dopo tantissimo tempo.
Infine, ma non per
ultimo ovviamente, Roberta ringrazia il grande Maurizio Mattioli che le ha
scritto la prefazione, personalmente e a nome delle anime più deboli che
usufruiranno del guadagno ottenuto con le vendite di quest’opera letteraria.
Vincenzo
Calò
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