“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti…” Ogni volta che penso al cap. 23 del Vangelo secondo Matteo, rimastico la durezza di queste parole. Un’invettiva lunga, rispetto ai consueti rimproveri di Cristo. E rivolta ai farisei. Ai pii per eccellenza. Agli occhi d’un ingenuo lettore odierno, i farisei evangelici, tecnicamente, non dovrebbero sembrare “brutte persone”. Non uccidono, non rubano, non fornicano. Sono decorosi nel contegno. Pregano e non frodano in fatto di imposte al Tempio. Sono, insomma, quel genere di persone a cui, ancora oggi, si fa tanto di cappello e di cui fa piacere essere visti in compagnia. Doveva essere così anche ai tempi di Gesù, se Lui diceva: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini…” (Mt 23, 5). Perché una così speciale durezza verso di loro, dunque? E sì che c’era del marcio in Palestina… Romani invasori, pubblicani avidi e collaborazionisti, prostituzione, sedizion...
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