“Parallelamente,
la politica si faceva largo nelle Università attraverso i galoppini dei
partiti, che dovunque muovevano alla scalata delle Associazioni Studentesche,
di fresco ricostituite. Vi furono città, come Firenze, in cui l’AGF rimase
sempre saldamente in mano ai goliardi, pur in presenza di un parallelo ordine
goliardico, e altre, come Torino, in cui i goliardi, in nome del sacro
principio dell’apoliticità e dell’apartiticità ribadito a Venezia nel ’46, si
ritirarono volentieri nella cittadella dell’Ordine Goliardico, giocattolo
magico ed esclusivo, puro, ma avulso dal mondo del potere, e lasciarono l’ATU prima
e l’ORUT poi nelle mani delle fazioni politiche.
Fazioni
che non avevano tardato a palesarsi, fin dagli ultimi anni ’40: i cattolici che
avevano formato l’Intesa (che comprendeva la FUCI, la DC giovanile e l’Azione
Cattolica), i comunisti avevano il M.U.D. (che riuniva FGC e Indipendenti di
Sinistra), i Missini avevano il FUAN, i liberali si chiamavano G.I. (Goliardi
Indipendenti), e la stessa U.G.I. (che avrebbe dovuto essere la federazione
apolitica delle varie associazioni goliardiche italiane come l’ATU, l’AGF ecc…)
finì per colorarsi di rosso dopo pochi anni, fra spaccature, polemiche e
scissioni. […]
Lo spirito
di competizione esibito dai ‘politici’ per contendere ai goliardi i posti negli
Organismi Rappresentativi Universitari dei vari atenei era incoraggiato dalle
segreterie, ed esasperato anche da quel livore che gli sfigati hanno da sempre
nei confronti di chi ‘cucca’, i rusconi nei confronti di chi sa divertirsi, ed
i secchioni nei confronti di chi impara senza sforzo. Abituati, poi, alle
veline e alla disciplina di partito, i ‘politici’ avevano imparato a temere la
fantasia, l’intelligenza, l’ironia di liberi pensatori come i goliardi, i
quali, ad onta dei loro processi alle matricole e della loro gerarchia interna,
erano per il resto assai refrattari agli indottrinamenti. Non è che fossero
disimpegnati o, come si disse ossessivamente a cavallo del ’68, ‘qualunquisti’.
Molti goliardi erano schierati politicamente, ed anche in posti di rilievo. Ma
si rifiutavano di portare il cervello all’ammasso e, soprattutto, di portare la
feluca (simbolo di libertà e tolleranza) negli arenghi politici, faziosi per
definizione.
Inizialmente
(e fin oltre il fatidico ’68) gli Ordini Goliardici furono fatti oggetto di infinite
blandizie da parte di questo o quel partito politico: offerte di finanziamenti,
di basi logistiche, di accesso ai media, sempre declinate. Bisogna onestamente
sottolineare la nobiltà e la coerenza di questo nostro costante rifiuto, nel
nome dell’indipendenza e della libertà di pensiero, allorché ci si interroga
sulle ragioni dell’evoluzione del fenomeno goliardico da movimento di massa, di
piazza, socialmente rilevante, a fenomeno di élite, seminascosto e socialmente
irrilevante.
Nel
dopoguerra, comunque, fu tentata un’opposizione all’intrusione dei partiti
politici nelle università. La situazione, come si è detto, cambiava da città a
città e di anno in anno, ma purtroppo si arrivò alla vigilia del fatidico ’68
con la goliardia quasi completamente fuori dagli organismi rappresentativi.”
Da: Gaudebamus, Igitur. Dieci secoli di
Goliardia, dai Clerici medioevali ai Clerici Vagantes contemporanei, (“Le
Feluche”), Torino 1992, Orient Express Editrice, pp. 114-115.
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