Potrei parlarti della nebbia amara che fra chimere randagie mi spinge e dirti: «È il vento, il vento che ciangotta». Così tanto i tuoi occhi si confondono, quando si figgono nella mia notte. Eppure, fino a ieri eri la luna onniveggente e le stelle fissate, la misura dell’ore e l’almanacco d’ogni giorno concesso alla speranza. Dove s’è riversato il mio cielo? L’etere sembra un catino vüoto, un cratere che, ebete, boccheggia. E io sul fondo, prosciugata d’anima, con la schiena trafitta da una ghiaia di ricordi presenti come braci. Compresa in: AA.VV., XXX, Villasanta (MB) 2016, Limina Mentis, p. 35.
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