Un simbolo piuttosto fiabesco e popolare della crudeltà è la principessa cinese Turandot, protagonista dell’omonima opera musicata da Giacomo Puccini (1858-1924) su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni e completata postuma da Franco Alfano (1926). È il genere particolare di questa leggendaria crudeltà a colpirmi. Turandot è bellissima e vivamente intelligente. È circondata dall’affetto del padre, dalla venerazione di un intero popolo, dall’amore degli innumerevoli pretendenti. Per certi versi, ha perfino cuore, come dimostra la sua profonda commozione davanti al destino della sua antenata Lo-U-Ling, violentata da un principe straniero. Ciò che muove le sue azioni è la “voce” di una vittima innocente. Proprio questo “cuore” e questo sdegno per l’ingiustizia, però, fanno di Turandot un mostro. Assorta com’è nella “voce che grida dalla tomba”, d...
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