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Le porte della percezione

Pare che i Doors abbiano mutuato il proprio nome dalle “porte (doors) della percezione”. Questa espressione mi è tornata in mente guardando Hellraiser (1987; regia e soggetto di Clive Barker). Non è stato l’unico déjà vu nel corso della visione. Più volte, mi è tornata in mente La Mummia. Anche qui ci sono una moglie adultera, una giovane ingenua che paga le conseguenze degli atti di lei, un oggetto misterioso che apre dimensioni inquietanti e un amante non-morto, eternamente suppliziato e voglioso di tornare alla vita vampirizzando altri uomini. Però, insistere oltre nel paragone fra i due film sarebbe blasfemo. La Mummia è un horror pacchiano, con mucchi di americanate (ed egizianate) per spettatori “di bocca buona”… o desiderosi di occasioni di humour nero. Hellraiser richiede più stomaco e, soprattutto, più cervello.
            La trama, in sé, è semplice. Larry (Andrew Robinson) e la sua seconda moglie Julia (Clare Higgins) si sono appena trasferiti in un villino abbandonato, che fu dello scomparso fratello di Larry, Frank (Sean Chapman). Guarda caso, proprio lì si era consumata la torbida passione fra Julia e il cognato, anni prima. I ricordi si sono letteralmente imputriditi sul posto. Alla fine, ravvivato dal sangue del marito, rispunta uno scheletro nell’armadio ben poco metaforico. Frank non era scomparso. Era sempre rimasto nel villino, ma prigioniero di angeli-demoni dediti a torturarlo per fargli esplorare gli anditi più ignoti della percezione. Frank stesso li aveva evocati, aprendo una scatola egizianeggiante simile a un cubo di Rubik –il più giocoso e il più arduo fra gli enigmi.
            Il risveglio del mostruoso non-morto (Oliver Smith) catalizza il crollo del bel quadretto borghese. Tutte le tensioni e le contraddizioni costrette a marcire sotto il pavimento –come Frank- esplodono e divorano le vite dei personaggi: la moglie, il marito, la figlia di primo letto (Ashley Laurence).
            Clive Barker guida sapientemente lo spettatore nell’atroce cammino di scoperta. Lo costringe a intuire i non-detti, ad aprire porte chiuse e, soprattutto, a guardare –a guardare quello che è troppo atroce per essere visto. Vedere=sapere; conoscenza=dolore. I binomi da tragedia greca incalzano personaggi e spettatori fino all’urto d’una nausea che non si sfoga mai. «Non guardarmi…» esala Frank, davanti all’amante d’un tempo, non sapendo di riecheggiare il Dracula di Francis Ford Coppola. L’umiliazione di svelare la propria bestialità e il proprio marciume davanti alla persona di cui si desidera l’amore è un sentimento forse universale. Così come universali sono, probabilmente, la convivenza di amore e odio, la scoperta dell’aggressività latente nelle persone che ci vivono accanto, il peso delle azioni commesse. E, soprattutto, la verità espressa dagli angeli-demoni della percezione: Il dolore non va sprecato. Solo sopportandolo fino in fondo, si può conoscere il massimo del piacere. Lo rinfaccia anche Frank alla nipote Kirsty, la figlia di primo letto di Larry. Già, perché sono proprio le giovani donne come lei a doverlo imparare assolutamente, di generazione in generazione, fino alla fine del mondo.
 Clive Barker entra senza esitazioni in questo segreto femminile: l’apice dell’amore e della voluttà si raggiungono soltanto attraversando il terrore sotterraneo dell’assalto e della penetrazione. Non a caso, i personaggi principali sono donne e le inquadrature soggettive rappresentano il loro punto di vista. A loro, tutto accade per fatalità, perché vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole. Anche se la “fatalità” si compone, in buona parte, di desiderio colpevole (nel caso di Julia) o di leggerezza (nel caso di Kirsty). Una volta aperte le porte della percezione, comunque, non si torna più indietro. Non vale rifugiarsi nella sicurezza dell’idillio coniugale o scusarsi, dicendo che “è stato solo un gioco, una distrazione…”. Come Edipo e le mogli di Barbablù hanno già verificato, la conoscenza è irreversibile. 
            L’unico personaggio a cercare consapevolmente questa conoscenza, però, è Frank: il personaggio più dedito alla carnalità, che è anche –guarda caso- quello col maggiore senso del sacro. Fra l’uomo sensuale e l’uomo spirituale la distanza è labilissima: entrambi sanno esplorarsi fino alle estreme conseguenze. Conosci te stesso. Chi risponde a questo imperativo distrugge se stesso e coloro che gli sono legati –i quali, però, sono già morti, per l’insipidezza delle loro vite. Conosci te stesso. Ma, quando l’avrai fatto, dovrai guardare.

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