Sarà la sessione d’esame, sarà il mio cervello disposto sempre a saltare di palo in frasca, ma mi è accaduto, recentemente, un episodio di serendipità letteraria. Di quelli che mostrano come, in campo umanistico, “vicino” e “lontano” abbiano un significato molto relativo. Ho letto, finalmente, La Morte Amoureuse (“La morta innamorata”) di Théophile Gautier (1836). L’edizione è quella offerta dalla Société Théophile Gautier . È citato da Remo Ceserani, nel suo saggio Il fantastico , (“Lessico dell’estetica”), Bologna, 1996, Il Mulino. Il racconto sarebbe un esempio di ciò che Sigmund Freud chiamava Das Unheimliche, “il perturbante” (1919): un senso di disorientamento e angoscia, il dubbio sulla natura di ciò che s’incontra. Nel racconto di Gautier, il prete Romualdo non sa se l’amatissima e tentatrice Clarimonda sia donna o demone, vivente o spettro, realtà o sogno. Ma non è questo che mi ha colpito maggiormente. Né il fatto che la “morta innamorata” sia u...