Sarà la
sessione d’esame, sarà il mio cervello disposto sempre a saltare di palo in
frasca, ma mi è accaduto, recentemente, un episodio di serendipità letteraria.
Di quelli che mostrano come, in campo umanistico, “vicino” e “lontano” abbiano
un significato molto relativo.
Ho letto, finalmente, La
Morte Amoureuse (“La morta
innamorata”) di Théophile Gautier (1836). L’edizione è quella offerta dalla Société Théophile Gautier. È citato da Remo Ceserani, nel suo saggio Il fantastico, (“Lessico dell’estetica”), Bologna, 1996, Il Mulino. Il racconto
sarebbe un esempio di ciò che Sigmund Freud chiamava Das Unheimliche, “il perturbante” (1919): un senso di
disorientamento e angoscia, il dubbio sulla natura di ciò che s’incontra. Nel
racconto di Gautier, il prete Romualdo non sa se l’amatissima e tentatrice
Clarimonda sia donna o demone, vivente o spettro, realtà o sogno. Ma non è
questo che mi ha colpito maggiormente. Né il fatto che la “morta innamorata”
sia un tassello pregevole della letteratura sui vampiri (croce e delizia, ma
soprattutto delizia, della mia psiche distorta). La sorpresa è stata rivedere,
in Romualdo, il caro, vecchio, Francesco
Petrarca (1304-1374).
Non credo
che Gautier l’abbia fatto apposta. Stando a Ceserani, l’influsso gli venne,
piuttosto, da E.T.A. Hoffmann (Gli elisir
del diavolo, 1815-16). Però, guarda caso, anche Romualdo è italiano. E,
come Petrarca, è cresciuto nel fervore religioso e negli studi. Tutto lo
indirizza a una vita d’ascesi e preghiera. Ma uno sguardo lo pone davanti a un
bivio. Proprio in chiesa, durante la cerimonia dell’ordinazione sacerdotale,
gli appare Clarimonda.
Profecto et illius occursus et exhorbitatio mea unum in tempus
inciderunt.
(F. Petrarca, Secretum,
III)
Ancor più
di Petrarca, Gautier insiste sulla magia di quella vista, sulla tragica ironia
che ha situato la crisi proprio nel luogo e nell’occasione più insospettabili.
Il romanziere si dilunga sull’incanto della “rivelazione angelica”;
subdolamente, avvicina l’esperienza di Romualdo al battesimo di S. Paolo: Ce fut comme si des écailles me tombaient
des prunelles. L’atmosfera di stupefazione ricorda certe… chiare, fresche e
dolci acque.
Così, carco d’oblio,
il divin portamento,
e ‘l volto, e le parole,
e ‘l dolce riso
m’aveano, et sì diviso
da l’imagine vera,
ch’i’ dicea sospirando:
‹‹Qui come venn’io, o quando?››
(F. Petrarca, Canzoniere,
CXXVI)
Tuttavia,
nel Canzoniere, la musicalità è tanto
studiata, il lessico tanto rarefatto da annullar quasi il tormento dei sentimenti. Tormento che, invece, il francese modula e
snoda in boccoli di dettagli tra l’analitico e il morboso. Dà carne e sangue
alla vicenda amorosa, forse alla personalità del poeta stesso.
Clarimonda ricorda a puntino la
bellezza bionda e aristocratica di Laura. Ma con più plasticità. In un certo
senso, ci rivela il volto della donna
petrarchesca.
Elle
était assez grande, avec une taille et un port de déesse; ses cheveux, d’un
blond doux, se séparaient sur le haut de sa tête et coulaient sur ses tempes
comme deux fleuves d’or […] son front, d’une blancheur bleuâtre et
transparente, s’étendait large et serein sur les arcs de deux cils presque
bruns, singularité qui ajoutait encore à l’effet de prunelles vert de mer d’une
vivacité et d’un éclat insoutenables.
Come Francesco, Romualdo rivede la
donna intorno a sé, come una presenza infestante e desiderata assieme: ombre,
orme, scintillar d’occhi, sempre illusori.
I’ l’ò più volte (or chi
fia che mi ‘l creda?)
ne l’acqua chiara et
sopra l’erba verde
veduto viva, et nel
tronchon d’un faggio,
e ‘n bianca nube…
(Ibid., CXXIX)
Uno
smarrimento, un dubbio tra realtà e allucinazione che è “perturbante” ante litteram.
La morte di lei non la allontana. Anzi, paradossalmente, apre la via
al ricongiungimento degli amanti.
Alma felice, che sovente
torni
a consolar le mie notti
dolenti
con gli occhi tuoi, che
Morte non à spenti…
(Ibid., CCLXXXII)
Però,
quella sublimazione che pacifica Petrarca e santifica il ricordo di Laura è
inaccessibile a Romualdo. Clarimonda torna con tutto il peso della carnalità,
addirittura avvolta nel sudario. Non solo morte
bella parea nel suo bel viso (F. Petrarca, Triumphus Mortis, v. 172), ma la descrizione della sua salma è
piena di sottile necrofilia: Elle était
aussi charmante, et la mort chez elle semblait une coquetterie de plus… La
sua dipartita è
…quel che morir chiaman
gli sciocchi (ibid., v.
171).
Non
perché, come Laura, abbia un posto fra i beati, ma perché il bacio (poi il
sangue) dell’amante la rianima.
Comincia
così, per il giovane prete, quello sdoppiamento
di sé che il poeta aveva invece sperimentato durante la vita dell’amata.
À dater de cette nuit, ma nature s’est en
quelque sorte dédoublée, et il y eut en moi deux hommes dont l’un ne
connaissait pas l’autre. Tantôt je me croyais un prêtre qui rêvait chaque soir
qu’il était gentilhomme, tantôt un gentilhomme qui rêvait qu’il était prêtre.
Gautier
inscena e porta nel regno del fantastico quel dramma che Petrarca rivela a
Dionigi da Borgo San Sepolcro: il suo essere un “doppio uomo”, aspirante al
monachesimo da una parte, vocato a passione e mondanità dall’altra. Come lui ha
il S. Agostino ideale del Secretum, Romualdo
ha l’abate Serapione. Entrambi inquisitori e chiaroveggenti, incarnazioni d’una
coscienza implacabile. Ma il secondo è ancora più inquietante. I suoi occhi
sono di leone; mentre riesuma Clarimonda, è tanto duro e selvaggio da parer
diabolico. Al contrario del poeta, Gautier non ha empatia verso “le ragioni dello spirito”, in cui vede
solo l’oppressione d’un’autorità arcigna. Per colpa di Serapione, il giovane
trova che
…le crespe chiome d’or
puro lucente,
e ‘l lampeggiar de
l’angelico riso,
che solean fare in terra
un paradiso,
poca polvere son, che
nulla sente.
(F. Petrarca, Canzoniere,
CCXCII)
Una
libertà e una ricomposizione amarissime. Tutto l’amore di Dio è a malapena
sufficiente a compensare la perdita. Se Petrarca ha una Vergine bella su cui trasferire il proprio canto, Romualdo deve far
morire metà di se stesso. Ciò che piace
al mondo non è un sogno così breve, dopotutto. Anzi, forse non è
affatto sogno.
La somiglianza tra la vicenda
“fantastica” e quella biografica mostra come questa modalità dell’immaginario
non sia puro divertissement. È uno
strumento per indagare gli aspetti
più sfuggenti e incodificabili della psiche. Delinea anche cosa fosse il senso del peccato e quale peso avesse
l’istituzione (religiosa, ma non
solo) sulle scelte di vita. Sarà un caso se La
Morte Amoureuse si trova in una collana di scienze sociali?
Le opere di Francesco Petrarca
sono citate nelle seguenti edizioni:
·
Francesco
Petrarca, Canzoniere, (“Oscar
classici”), a cura di Alberto Chiari, Milano, 1985, Arnoldo Mondadori Editore;
·
Francesco
Petrarca, Secretum, a cura di Ugo
Dotti, Milano, 2000, BUR;
·
Francesco
Petrarca, Triumphi, a cura di M.
Ariani, Milano, 1988, Mursia.
La tua analisi dimostra che le costanti dello spirito umano e delle multiformi esperienze psicologiche in cui una persona può incorrere nella vita si declinano in infinite varianti lungo tutta la storia della nostra cultura. La versione quasi pre-decadente del romanzo di Gautier delle situazioni petrarchesche è il plausibile risultato dell'entrata del modello trecentesco nell'orbita sentimentale quasi morbosa di certo romanticismo 'avanzato'.
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