La
violenza domestica è un filo rosso che si snoda sornione, nei letti e sotto i
tappeti, fra bianche signore impellicciate e africane dagli abiti multicolori.
Così è stata rappresentata, per l’appunto, nella mostra itinerante “Seguendo il
Filo di Arianna e Teseo o Minotauro”. Essa fu allestita nel maggio 2014 a
Malnate (Varese) e raccoglieva le opere di ottanta donne. L’ideatrice era
Valentina Benedetto Grassi. Nel settembre dello stesso anno, si aggiunsero gli
uomini, con la parte “Teseo o Minotauro”, appunto. Da lì, è stata trasportata
in più luoghi. A Brescia e provincia, sono già state tenute diverse edizioni,
curate da Valeria Zanini, una delle prime artiste a partecipare. Attualmente,
le firme sono oltre centosessanta.
La mostra è approdata a Manerbio grazie
alla cura di Anna Maria Bietti, con la collaborazione dell’associazione locale
“Donne Oltre”. L’evento è stato patrocinato dal Comune di Manerbio,
dall’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda, dall’ASL di Brescia, dalla
Consigliera di Parità e dalla Provincia di Brescia. Naturalmente, non sarebbe
potuto mancare il sostegno de “Il cerchio degli Uomini” e della “Casa delle
Donne centro antiviolenza” di Brescia.
L’apertura al pubblico è stata
modestamente celebrata il 5 dicembre 2015, nella Sala Mostre del Municipio.
Sulle tele e nelle sculture, campeggiavano mani supplichevoli o minacciose,
abiti candidi e insanguinati, cuori infranti. Diverse erano le variazioni sul
tema delle scarpe rosse, ormai noto simbolo della violenza sulle donne. Non
mancava nemmeno un vero e proprio Minotauro, che incombeva sul nudo corpo di
Arianna. Uno specchio rimandava a una bambina l’immagine di una donna sfatta e
abusata. Una schiena statuaria portava segni di graffi. Ragazze imbacuccate
passeggiavano per vie buie, in fredde notti abitate da ombre. Un cuore pendeva
impiccato, accanto a un germoglio. Una casalinga brandiva una bottiglia sul
capo del marito addormentato. Dafne inseguita distorceva il proprio corpo in
rami d’albero, per sfuggire allo stupro di Apollo. Una ragazza portava un pesante
collare con punte di metallo. Maschere fingevano sorrisi o disumanizzavano
vittime e carnefici. Lacrime fuggivano su visi di porcellana. Un filo rosso si
riallacciava a un cuore. Una donna africana mostrava una lametta – quella che
l’aveva infibulata? E mille altri volti prendeva il dolore, come in una
mitologia sempre viva.
Non solo al mito, per l’appunto, ma
anche alla fiaba è spettato raccontare la violenza domestica. Carla Provaglio,
accompagnata dalla tastiera di Fabio Berteni, ha letto passi terrificanti o
meravigliosi: “Donne fantastiche dal mondo delle favole”. Ha cominciato con la
celeberrima “Barbablù”: il gentiluomo segretamente assassino delle mogli troppo
curiose. “Scarpette rosse” ha dipinto l’ossessione di libertà e felicità che
trascina una bambina nell’emarginazione. “I tre capelli d’oro”, invece, sono
quelli del Sole, rinato dalle cure di braccia materne. “Baubo, la dea panciuta”
è il nume dell’oscenità, che riesce a strappare un sorriso alla divinità delle
messi: così, la natura può tornare a vivere. “Il ciglio del lupo” insegna a una
ragazza coraggiosa a distinguere i buoni dai malvagi, vedendo nel loro cuore.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 104 (gennaio 2016), p. 8.
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