Il nome di Angelo Bertelli, a Manerbio, è legato ai
meravigliosi presepi che espone ogni anno, nel periodo natalizio. Una passione
nata come passatempo ingenuo, un gioco coi nipoti. Poi, è diventata un’arte da
offrire alla cittadinanza.
Per anni,
la collocazione dei piccoli capolavori è stata una casa privata vicino alla
chiesa di S. Faustino in Breda. Dal 2014, essa si è spostata nel cortile del
circolo ACLI.
Ogni anno, la Natività riceveva una collocazione diversa:
l’Eremo delle Carceri ad Assisi, Matera, Timor Est, il castello di Padernello,
le santelle manerbiesi, il borgo di Malvisi (Piacenza), per dirne alcune.
Nel 2015,
l’arte si è sposata all’arte. Negli edifici in miniatura di una Betlemme
fantastica, hanno fatto bella mostra di sé riproduzioni di dipinti pregiati.
In una bettola, fra orci di vino, siedono “I bari” (1594)
del Caravaggio: una partita a carte poco pulita, che occhieggia al mondo
“umano, troppo umano” che fa da teatro alla storia sacra cristiana.
Il castello
di Erode colpisce per le dimensioni e l’accuratezza: struttura a due piani,
coronata da una torretta merlata. La politica filoromana del sovrano è
sapientemente simboleggiata dai bassorilievi e dalle statue di Ottaviano
Augusto in miniatura, che decorano la fortezza. Dal vasto ingresso, è visibile
il “Viaggio dei tre Magi a Betlemme” (1633-1640 circa) di Leonard Bramer, o
“Leonardo delle notti”. Il pregio del dipinto, infatti, è dato dal sapiente
gioco di luci e ombre con cui è rappresentata la tarda ora. Probabilmente, la
collocazione scelta da Bertelli è legata all’episodio evangelico in cui i Magi
domandano a Erode indicazioni sul luogo di nascita del Messia (Mt 2, 1 ss.).
Si torna in
quel di Brescia, con “I calzolai” (1724 circa) di Giacomo Ceruti, custodito
presso la pinacoteca Tosio Martinengo e posto nel presepio ad animare una
bottega. Dello stesso artista sono i “Tre mendicanti” (1736): un altro soggetto
tipico della “pittura di genere” e fra i tanti che fruttarono al Ceruti il
soprannome di “Pitocchetto” ( = pittore dei “pitocchi”, dei poverelli). Sempre
sue sono le “Donne che lavorano” (1720-1725 circa), insieme al “Portarolo
seduto con cesta di uova e pollame” (1730-1740 circa): figura intensa di
giovinetto, il cui sguardo coinvolge lo spettatore. Tutte opere tipiche del
gusto sei-settecentesco per la rappresentazione del quotidiano e del
popolaresco, che si sposano bene con la tendenza del presepio a riempirsi di
figurine campestri e paesane.
Nella
capanna, naturalmente, è presente una Natività, anzi, un’ “Adorazione dei
pastori” (1540 circa): opera del bresciano Giovanni Gerolamo Savoldo. Fu un
pittore di “notturni” che, probabilmente, ispirò il Caravaggio. Anche questa
scena natalizia fa parte della serie; essa appartiene al suo ultimo periodo, in
cui i colori del pittore si intensificarono e si incupirono. Il realismo, le
fisionomie rustiche e l’atteggiamento disinvolto dei pastori sono probabilmente
gli elementi che hanno portato Bertelli a scegliere questa rappresentazione
della Natività, in accordo col resto del microcosmo tappezzato di muschio.
Pubblicato su Paese
Mio Manerbio, N. 104 (gennaio 2016), p.17.
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