Nel
“Faust”, J. W. Goethe (1749-1832) rappresentò come diabolica l’invenzione della
cartamoneta: ovvero, il denaro dal valore puramente virtuale, sottoposto a ogni
speculazione. Ci vide lungo. Nel 2003, l’Italia scoprì il crac Parmalat:
miliardi di euro non solo virtuali, ma addirittura inesistenti. Oggi, il
capitale è sempre meno legato al territorio. La globalizzazione ha fatto del
mercato una fioritura di speculazioni, vaste e fragili come bolle.
Di questo ha trattato l’incontro
“Finanza etica. Il caso di Banca Etica”, organizzato dall’Associazione
Culturale Chirone di Manerbio, presso il Municipio (4 dicembre 2015). Erano
stati invitati Maurizio Bianchetti (coordinatore dei soci della Banca Etica per
la Lombardia, il Piemonte e la Liguria) e Pietro Ghetti (di Banca Etica,
filiale di Brescia). L’intervento di Bianchetti ha ricordato il fallimento di
Lehman Brothers, col quale, nel 2008, iniziò ufficialmente una catena di crac:
gli scoppi di quelle “bolle speculative” in cui ormai consisteva la finanza
mondiale. «La crisi economica, poi, è diventata sociale e si è innestata su
quella ambientale». La trasformazione dei beni reali in punti di partenza per
carte, numeri, cifre da giocare in Borsa fa sì che gli Stati nazionali, alle
prese col proprio bilancio, abbiano a che fare con una realtà inafferrabile.
Nel 1999, a questa situazione ha
risposto l’esperimento di Banca Popolare Etica. Niente di nuovo sotto il sole,
ha spiegato Bianchetti. Si trattò di recuperare i valori originari del credito
cooperativo e delle casse rurali: la tutela del risparmio, l’investimento sul
territorio e la stimolazione dell’artigianato locale. Ogni socio della banca
vota per sé, non in base al proprio capitale. La destinazione degli
investimenti è decisa fin da subito, d’accordo col risparmiatore. I bilanci sono
pubblicati sul sito www.bancaetica.it .
Il denaro viene impiegato nella cooperazione internazionale, nella cultura,
nello sport, nella tutela dell’ambiente. Banca Etica cura molto il microcredito
(prestiti a privati e famiglie). Per verificare l’eticità delle attività
economiche dei clienti, la Banca si affida al lavoro dei valutatori sociali.
Come ha spiegato Pietro Ghetti, i
soci dell’istituto bancario vengono dal mondo delle associazioni e del
volontariato (ARCI, ACLI, commercio equosolidale, ambientalismo), che
riprendono i valori del cattolicesimo e del socialismo. Sia risparmiatori che
beneficiari sono responsabilizzati sull’uso degli investimenti. Il microcredito
praticato da Banca Etica può essere sia di tipo socio-assistenziale che
imprenditoriale. Il primo è destinato a famiglie bisognose garantite da un ente
(Comune, Caritas, associazioni di lavoratori). Il secondo è per enti che
perseguono un “profitto responsabile”: agricoltura biologica, attività
produttive in via d’estinzione.
Per gestire in trasparenza i fondi
comuni d’investimento, è stata creata Etica Sgr. Ghetti ha poi affermato che
l’istituto accetta solo titoli di Stati che rispettano i diritti umani. Dagli
investimenti, sono escluse le aziende legate all’attività bellica o
all’estrazione mineraria (per l’incertezza sul trattamento riservato ai
lavoratori).
Mantenere un profilo etico alto,
naturalmente, ha il proprio prezzo e questo è la scarsa estensione della banca.
In tutto, le filiali, in Italia, sono sedici. Dove non ce n’è una, un
“banchiere ambulante” si occupa di muoversi, come promotore finanziario, nella
provincia. Ma, per altri aspetti, l’etica paga: il controllo sulla destinazione
dei finanziamenti ha fruttato un basso tasso d’insolvenza. E Banca Etica è
diventata internazionale. La sua ambizione è stata riassunta da Bianchetti:
essere non solo un modello di diverso di banca, ma anche di economia. «Il tempo
è maturo».
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