Parte III: Il
filo di Arianna
6.
Amedeo
tentò di non pensare al numero di ore che dovevano essere trascorse. “Cerchiamo
di non fare sciocchezze” si disse. “In fondo, non mi è andata troppo male,
finora”.
In effetti, eccezion fatta per
quella corda che gli aveva segato i polsi in automobile, non aveva subito
significativi maltrattamenti. Era stato bendato e condotto, dopo molti giri, su
per una scala e attraverso diverse stanze. Infine, quando gli era stata
restituita la luce, si era ritrovato un una polverosa biblioteca dai mobili
scuri, col pavimento coperto da una moquette e un busto in gesso raffigurante
una neoclassica Minerva.
Lì era rimasto per quelli che
dovevano essere stati giorni. I servizi igienici annessi alla biblioteca
toglievano necessità reali di condurlo fuori. Con lui, perennemente, rimaneva
quel ragazzo biondiccio che l’aveva fissato minacciosamente in Borgo Ticino, al
momento del suo sequestro. Gli si era presentato come “Raniero”. Amedeo non
aveva visto altri. Anche se era certo di trovarsi in un luogo sotto il
controllo del dottor Michele Ario, che l’aveva fatto salire sulla propria auto
senza tanti complimenti. Conosceva bene il proprio rapitore. Il che avrebbe
potuto essere una grande consolazione o un’enorme preoccupazione.
Ario era stato capace di tramare la
sepoltura – forse, la sepoltura in vita – della sua unica nipote. Ora, aveva
recluso lui, perché aveva capito che l’aveva aiutata a fuggire dalla camera
mortuaria del Policlinico. E si ritrovava in attesa di conseguenze
imprevedibili. Decisamente, la consolazione non trovava troppo spazio, in tutto
quello.
Nilde non aveva ancora voluto
svelargli i motivi dell’orribile punizione a cui era andata incontro. Forse,
lui non avrebbe mai avuto modo di conoscerli. Si sedette su un sedile di
velluto e si prese la testa fra le mani.
Raniero prese un bicchierino di
plastica e vi vuotò un po’ d’acqua da una brocca. «Bevi un goccio» disse al
prigioniero.
[Continua]
Pubblicato
su Uqbar Love, N. 165 (31 dicembre 2015), p. 40.
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