“Porta
rispetto”. Oppure, “Devi provare sulla tua pelle”. Due tormentoni tipici di
chi, ovviamente, non si sogna di praticarne il contenuto.
Il primo tipo umano a cui
appartengono è perennemente inviperito, magari anche a ragione, ed è in grado
di impiegare il linguaggio umano sostanzialmente per una cosa: sfogare le
pulsioni di pancia. Perché “ha vissuto, ha esperienza, sa cosa vuol dire questo
e quello”. Gli altri, evidentemente, sono tutti cretini o ectoplasmi. Afferma
che “non odia nessuno”, ma si effonde in espressioni scandalizzate o mima il
vomito, ogni volta che tratta di negri,
froci, giudei e travoni. Ovviamente, si stupisce pure, se subisce censure
quando si esprime pubblicamente in cotal modo. Perché solo a lui è consentito
offendersi e reagire. Magari, ha pure studiato o viaggiato molto. Ma - data la
sua ribadita chiusura mentale - vien voglia di chiedere a cosa sia servito.
Quando si cerca di impostare un discorso da essere senziente sulle sue sacre
convinzioni, risponde che “a mancar di rispetto sono altri” o che “devi provare
sulla tua pelle”. Come se non lo stessi già facendo.
Un’altra variante della “dama di
carità” è quella che imposta manfrine interminabili per difendere la condotta
di personaggi prestigiosi (e indifendibili), considerati icone politiche. Come
se avessero bisogno di avvocati. Naturalmente, è altrettanto pronta a negare l’esistenza
di problemi socioeconomici reali. Perché ricordare che, nel Terzo Mondo,
esistono povertà e sfruttamento è razzismo.
Dire che difendere un privilegiato non ha senso e che bisognerebbe occuparsi di
chi ha davvero problemi causa risposte come: le possibilità economiche di qualcuno non offendono mica gli altri, no?
Se la si contesta, ha uscite deliziose quali: Ma non diciamo cagate! (È la sua nozione di rispetto).
Se c’è un vantaggio nell’aver assaggiato
il rapporto con tutti e due (o tre) i tipi umani, è questo: la perdita delle
illusioni. Non esistono “ambienti protetti”. Esiste solo quel manicomio a cielo
aperto che è la Terra e bisogna avvezzarsi a farsi scivolare addosso ogni cosa,
se non si vuol seguire a ruota la pazzia altrui.
A questo punto, so benissimo che
salterà fuori il Tizio di turno e mi dirà che “sto generalizzando”. Sì, sto
facendo esattamente questo. Perché a generalizzare si fa male, ma spesso ci si
indovina. Cos’è, poi, una “generalizzazione”? La descrizione nero su bianco di
esperienze ripetute. E, se qualcuno mi inviterà per l’ennesima volta a “portare
rispetto”, gli risponderò nel modo canonico: devi provare sulla tua pelle.
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