Vorrei
spendere qualche parola sull’ordinazione di tre giovani sacerdoti manerbiesi:
don Davide Podestà, don Marco Cavazzoni e don Alessandro Savio. Sono stati miei
compagni d’adolescenza, all’oratorio di Manerbio. Benché il mio percorso
spirituale si vada allontanando dal cattolicesimo, ho presenziato alla loro
prima Messa, il 12 giugno 2016, e ho fatto loro auguri di cuore. Sono tre
“vecchi amici” che hanno fatto una scelta importantissima per la propria vita e
io auspico soprattutto che sia autentica, che sia per loro un modo concreto di
esprimere la propria “perla interiore”.
Quel che mi dà da pensare sono i discorsi
di chi non è particolarmente devoto, ma ha decantato “una scelta tanto
coraggiosa da parte di tre giovani, in un’epoca così corrotta”.
Per cominciare, è ora di finirla col
mito dell’ “epoca di decadimento”. Il mondo non è mai stato un posto
particolarmente pulito. Senza frugare in ere lontane, persone oggi ottantenni
ricordano l’egoismo, la gelosia, la prepotenza e l’ingratitudine subiti in
famiglia, al tempo in cui “tutti erano bravi cristiani”. Della secolarizzazione
in corso, poi, profitta e gode spesso proprio chi pontifica tanto sull’
“eccessiva libertà di costumi”. Fra i critici più accesi del “nichilismo
odierno”, c’è anche chi ha uno stile di vita tutto fuorché santo e cattolico -
paradossalmente, assai meno di quanto lo sia il mio. Se la società italiana
fosse ancora quella degli anni ’40, proprio loro sarebbero segnati a dito da
ogni “persona a modo”.
Secondo: la scelta dei miei tre
compaesani li chiama sicuramente a responsabilità. Però, fino a prova
contraria, queste derivano da una loro scelta libera e informata. Sono stati
circondati dal sostegno (anche materiale) di una comunità; difficilmente
resteranno disoccupati o dovranno domandarsi che fare della propria vita.
Vorrei spendere qualche parola su un
altro coraggio: quello di chi non ha potuto scegliere più di tanto. Il coraggio
di una mia amica, che ha perso di colpo un lavoro fisso e si barcamena tra
impieghi saltuari e ospitalità d’amici, pur di non tornare da una famiglia che
ha tollerato e coperto gli abusi sessuali da lei subiti quando era ragazzina.
Il coraggio di una mia coetanea, che lavora precariamente come donna delle
pulizie per mantenere la sua bambina. Il coraggio di una ventitreenne laureata
in campo umanistico, che ora lavora in un bar, visto che suo padre sperpera il
denaro tra l’alcool e la sua nuova donna. Il coraggio di una disoccupata, che
prende qualche soldo grazie a una bancarella di hobbistica. E, ora, smetto con
la litania. Mi limito a dire ai tre novelli sacerdoti qualcosa che, finora,
nessuno forse ha ancora detto loro in faccia: siete fortunati. Spero non solo
che la vostra fortuna prosegua, ma anche che non vi porti a sminuire l’altrui
fatica di vivere, come fanno certi ventenni arroganti che non sanno ancora
quanto siano salati i pesci in faccia.
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