L’ISIS
(“Islamic State of Iraq and Syria”) è stato un sinonimo di terrore almeno fino
all’attacco al teatro Bataclan di Parigi. Ultimamente, sembrerebbe “passato di
moda”. Ma può essere trattato come una moda? L’Associazione Culturale Chirone
di Manerbio ritiene di no. Per questo, ha invitato al Teatro Civico “M.
Bortolozzi” il prof. Michele Brunelli, docente di Storia ed istituzioni delle
civiltà musulmane all’Università degli studi di Bergamo e all’Università
Cattolica di Brescia.
La sua conferenza (13 maggio 2016)
s’intitolava: “Lo Stato Islamico. Nascita e diffusione dell’ISIS”. Essa ha individuato
cinque radici del “fenomeno ISIS”: Osama bin Laden; la Siria; il profeta
Maometto; la Prima Guerra Mondiale.
Bin Laden, figlio di un imprenditore
edile saudita di origini yemenite, sviluppò un forte antiamericanismo per cause
personali. Aderì al wahabismo, una corrente dell’Islam che intende tornare alla
purezza delle origini rinnegando i mutamenti culturali. Nel 1979, volle
combattere contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan: sostenne i mujaheddin
con reclutamenti e finanziamenti e contattò persino gli odiati Stati Uniti. Fu
per questo che l’Occidente si rese conto più tardi (rispetto all’URSS) di come
l’integralismo islamico fosse una minaccia.
Quanto alla Siria, essa è stata
definita dal prof. Brunelli “uno Stato fallito”: il governo centrale si trova a
condividere il territorio con altre forze armate, il cui pomo della discordia
sono gli interessi nazionali dei vicini e quelli di attori internazionali (USA
e Russia).
Arriviamo al terzo elemento citato
dal docente: Maometto (570 ca. -632 d. C.), il fondatore dell’Islam, proclamò
un proprio successore, detto “califfo”. In seguito, nacquero califfati
splendidi e potenti come quello omayyade e quello abbaside.
Infine, Brunelli ha sottolineato il
ruolo degli accordi Sykes-Picot (1916): quelli con cui Francia e Regno Unito
suddivisero l’Impero ottomano - nel caso in cui fosse stato sconfitto nella
Prima Guerra Mondiale - in zone di influenza.
Dopo le rivoluzioni del 1979 in Iran
(Repubblica islamica con l’Ayatollah Khomeini) e in Iraq (colpo di Stato di
Saddam Hussein), la politica statunitense Jeane Kirkpatrick affermò
pubblicamente che, in funzione antisovietica, era lecito anche allearsi con le
suddette dittature. Per spirito di rivalsa, i gruppi etnici e religiosi
oppressi da questi regimi - ha sottolineato Brunelli - si sono dati al
settarismo religioso e all’antioccidentalismo.
All’inizio degli anni ’90, Abu Musab
al-Zarqawi fondò il “Gruppo per l’unicità di Dio e il Jihad”. Al-Zarqawi
strinse un sodalizio con Al Qaeda, l’organizzazione fondata da bin Laden, ma
esso si ruppe a causa dell’eccessiva violenza del primo. Dopo la morte di
Al-Zarqawi, le redini del suo gruppo passarono ad Abu Bakr al-Baghdadi, già ricercato
dagli USA per terrorismo. La crisi siriana gli fornì l’occasione per fondare lo
“Stato islamico di Siria e Levante”, meglio noto come ISIS. La propaganda di
Al-Baghdadi lo presenta come discendente dalla famiglia del Profeta, unico
califfo e punto di riferimento per l’Islam mondiale.
Nonostante gli uomini dell’ISIS
siano relativamente pochi e male armati, gli Stati che li combattono “non
riescono” a sconfiggerli. Ciò ha permesso al prof. Brunelli di ipotizzare (come
molti, del resto) che la cosiddetta “coalizione anti-ISIS” abbia in realtà
tutto l’interesse a mantenere una guerra in Siria. I principali acquirenti del
petrolio dell’ISIS sono turchi e i reperti archeologici predati dai miliziani
finiscono in case d’asta occidentali. Molti “foreign fighters” sono ceceni.
Per quanto riguarda il ruolo
dell’Europa in tutto questo, Brunelli ha ricordato che il principale bersaglio
dell’ISIS è la maggioranza di musulmani non radicali. Il nostro continente, con
la sua forte presenza di immigrati islamici, può isolare l’ISIS prevenendo la
radicalizzazione grazie al confronto culturale.
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