Per Erri De Luca, la bellezza è forza compressa: come
quella che ha dato origine al golfo di Napoli, frutto di eruzioni e terremoti.
E la grazia “non è un’andatura attraente, non è il portamento elevato di certe
nostre donne bene in mostra. È la forza sovrumana di affrontare il mondo da soli
senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi.” (1) In questo senso, le “sue” eroine
bibliche sono “piene di grazia”.
La parola
per “femmina”, in ebraico, è נְקֵבָה (nǝqēvāh):
“incisione”. È la fessura da cui esce la vita. Nelle Scritture, l’uomo
trasmette la legge e la memoria, ma in materia di vita è la donna a governare.
Neppure Adamo, che diede il nome a tutte le creature, poté darne uno ai propri
figli. Ciò spettò a Eva. E femminili sono le lettere ebraiche, cui la Torah è
affidata. Per questo è viva ed emette germogli di generazione in generazione.
“Miriàm, gli uomini sono buoni a fare qualche mestiere e a
chiacchierare, ma sono persi davanti alla nascita e alla morte. Sono cose che
non capiscono. Ci vogliono le donne al momento della schiusa e all’ora di
chiusura.” (2)
Nessuna
traccia di quella condanna malevola che, per secoli, si è voluta far pesare sul
genere femminile. Il “dolore” di Eva –le spiega Dio- è “sforzo”. Lei sola, fra
le femmine di tutti i viventi, vivrà il parto come un momento immane. Perché la
conoscenza del bene e del male ha fatto dell’uomo una specie nuova, che
non si contenterà più d’un limitato giardino e dei suoi frutti spontanei. La
conoscenza lo spingerà sempre più in là, di conquista in conquista, di
desiderio in desiderio: cosa che gli renderà greve anche l’atto naturalissimo
della nascita. L’uomo, col suo cranio voluminoso, farà fatica a uscire dalla
fessura della vita.
Una “condanna”, per Erri De
Luca, è invece la תְּשׁוּקָה (tǝšûqāh): la
“piena del desiderio” verso l’uomo. Di lui, Dio dice alla donna: <<Lui
governerà in te>>. Puntualmente, le figlie di Eva manipolarono e
manipolano il proprio aspetto secondo una varietà di stampi, in vista
dell’amore maschile. “Il torturato piedino giapponese, l’ingrasso o il
contrario, lo scarnificato dimagrimento […] La storia della civiltà si può
ridurre alla storia dell’asservimento della bellezza femminile.” (3) Eva ha fatto uscire Adamo dall’infanzia
dell’Eden, lo ha spinto a indagare il bene e il male, uniti alla radice. La tǝšûqāh sembra
zavorrare questa sua forza. Essa è come la piena d’un fiume: l’unica energia
che può portare la donna verso l’uomo e dare origine al genere umano.
Non basta alcunché di meno. La bellezza di Eva consiste nella sua forza
compressa dal desiderio.
All’uomo, invece, non occorre
il comandamento divino, per gettarsi fra le braccia della donna. L’unione con
lei è “conoscenza” di una realtà ignota, che gli viene concessa come
grazia. “Non è scritto il reciproco, lei non ha bisogno di conoscere Adàm. Lui
è estratto dalla polvere, lei dal suo fianco.” (4)
Nell’albero genealogico del
Messia, i pochi nomi femminili spiccano. Cinque donne, di cui tre non
ebree. Fin da subito, è allontanata la tentazione del “sangue puro”. Tutte e
cinque sono “scandalose”. “La prima si vestì da prostituta per offrirsi
all’uomo desiderato. La seconda era prostituta di mestiere e tradì il suo
popolo. La terza s’infilò di notte sotto le coperte di un ricco vedovo e si
fece sposare. La quarta fu adultera, tradì il marito che venne fatto uccidere
dal suo amante. L’ultima restò incinta prima delle nozze e il figlio non era
dello sposo.” (5) Nel loro agire, ci sono motivazioni più grandi
della Legge. Nessuna di loro esita, come avevano fatto, invece, Mosè e i
profeti. Tamàr, “la palma”, vuole fruttificare: divenire “madre in Israele”,
far parte in tutto e per tutto di quel popolo che porta la rivoluzione del monoteismo:
un Dio rappresentato solo attraverso la Parola, più potente d’ogni
immagine, e che non lascia spazio ad altri dei, perché chiede per sé
l’interezza dell’uomo. Raḥav si affida a questo Dio, di cui ha conosciuto
la forza, strappando dalla morte sé e i propri cari. Rut sceglie
d’appartenere a Israele e riscatta la propria condizione di vedova senza figli,
grazie a un’audacia. Bat Sheva segue la tǝšûqāh, con una
sfrenatezza che genererà, però, il più saggio re d’Israele. Miriàm diventa la
“pianta” da cui nascerà il Messia. Ioséf, “colui che aggiunge”, aggiungerà
appunto la “terra” in cui farli crescere.
Cinque vicende da non attualizzare,
per non svuotarle, ma che arricchiscono la storia di quel monoteismo che ha
permeato di sé gran parte dell’ecumene. Con un’osservazione: “La storia sacra
ha molti pregiudizi in meno della nostra storia profana.” (6)
(1) Erri De Luca, In nome della madre, (“I
Narratori”), Milano, 2006, Feltrinelli, pag. 36.
(2) Ibidem, pagg. 41-42.
(3) Erri
De Luca, Le sante dello scandalo, Firenze, 2011, Giuntina, pag.
18.
(4) Ibidem, pag. 16.
(5) Ibidem, pag. 9.
(6) Ibidem, pag. 29.
Da: Una scandalosa bellezza. Le
donne raccontate da Erri De Luca. Incontro con l’autore; introduzione di
Claudio Visentin (Università della Svizzera Italiana), presso il Collegio
Universitario S. Caterina da Siena, Pavia, 3 aprile 2012.
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