Sarà stato un mero svago estivo… Una di quelle cose che
purgano il cervello dallo stress da studio, quando lo Spirito della Pennichella
vieta di applicarsi a peripteri, khilani e
scrittura cuneiforme. È anche un modo per ricrearsi fra donne di casa, quando
il (cosiddetto) capofamiglia si è dislocato dalla “zona televisore”. Don Matteo ha collezionato diverse serie
e tiene duro. A volte –confesso- mi tenta il cinismo. Magari bastasse il parroco del paese a risolvere ogni caso. Da
Gubbio, avrebbe anche potuto fare un salto a Perugia, per esempio. È più abile
perfino dei carabinieri professionisti. E lasciamo stare le barzellette, per
favore. Anche se il maresciallo Cecchini sembra tratto di peso da esse.
Mettiamoci, piuttosto, a sognare sui “dolori del giovane Tommasi”, indeciso tra
la fidanzata e la figlia del collega. Bisogna ammettere che con il suo
telegenico fascino il povero Severino compete invano.
Quanto a don Matteo, è
sicuramente il parroco che chiunque vorrebbe. Sa fare tutto: cavalcare, guidare
una ruspa, allenare una squadra di rugby… Peccato che porti jella: ha
trasformato una tranquilla cittadella in un vivaio di crimini. Non parliamo di
Natalina, la perpetua più perpetua che si possa immaginare. Non è mai stata
sposata, ma ha appreso perfettamente le maniere delle mogli da leggenda
metropolitana. Il povero sagrestano ne sa qualcosa.
Nel
frattempo, tutto scorre secondo copione: avviene un delitto; don Matteo tallona
le indagini; una parola casuale gli mette la pulce nell’orecchio e il nodo si
scioglie. I carabinieri arrivano regolarmente dopo, giusto quando “il don” ha finito di enunciare la morale della
favola al colpevole. Quindi, si torna alla normalità, con i bisticci coniugali
di Cecchini o gli invaghimenti autunnali di Natalina.
Niente di
straordinario, insomma. Per questo –a pensarci bene- Don Matteo cattura la fedeltà del pubblico. Non è un poliziesco
tutto pupe e sparatorie. Non c’è nessun eroe plastificato che fa acrobazie con
cinquanta proiettili in corpo. Nessun supercattivo pescato dagli avanzi
dell’Inferno dantesco. Tutti i personaggi sono umani. S’innamorano, battibeccano, mangiano la parmigiana di
melanzane. Anche il colpevole, che non è mai additato come “mostro”. Se don
Matteo arriva là dove gli altri tardano, è perché guarda alle persone, anziché
alla burocrazia da caserma. Questa fiction, pur così poco ambiziosa, fa intuire
quanto rimanga celato dietro l’ “urlato” dei notiziari. Fa capire che l’
“anormalità” del delitto potrebbe riguardare anche noi. Sebbene si speri sempre
di no.
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