Immaginate un vortice di quadri apparentemente slegati l’uno
dall’altro, ma attratti in una spirale senza freno. Materia che si contrae in
un nucleo densissimo, destinato a un nuovo Big Bang.
Questa è la
Baraonda! di Vincenzo Di Pietro.
Titolo di cui precisa la definizione data da Tullio De Mauro: “Frastuono
prodotto dal movimento confuso e dal vociare di molte persone […] insieme
confuso di cose, disordine” (Dizionario
della lingua italiana). Poco dopo, la precisione lessicale esplode nei
petali di una notte marcia.
Baraonda! è un “cortoromanzo pulp” di
114 pagine. 14 capitoletti, i cui incipit
sono preceduti da scarne note in minuscolo, fra parentesi. Così come fra
parentesi sono i pensieri dei protagonisti, il materiale umano del vortice.
Gialluchetto fugge da un innominato “mostro”. Mariano spalanca la propria mole
nel condominio dove “comanda lui”, usuraio e uxoricida. E papà adorato, per la
sua Romina. Mimmo sonnecchia sul proprio tesoro di vecchiaia, venti casse di
birra gelosamente stipate in casa. Verso quelle si libra Fabrizio, trasformato
in fenice dalle pasticche. Franco si barcamena da vero vitaiolo, sotto la spada
di Damocle di un debito. Rodolfo trasforma le bottiglie in bombe, con la sola
forza dell’allucinazione. Solo Pasquale è perfettamente lucido,
sull’escavatrice e col preavviso di licenziamento.
Questa
Pescara fa un salto nel buio, rispetto alle atmosfere di Senza te (2011). Non c’è più la stralunata poesia d’un amore
studentesco. Qui, il vortice è fatto di sangue, alcool, escrementi. Ogni pagina
è un nodo di fragori. Vincenzo Di Pietro è consapevole del “fuori programma”.
“Avevo una voglia matta di scrivere qualcosa che suonasse come un mefistofelico
Hellzapoppin’…” (pag. 113). Qualcosa
che l’ha fatto ringiovanire, dice. Perché “era tutta una baraonda, che sembrava
essere disegnata da un bambino sul cartellone da appendere a un muro, con i
colori rosso e giallo e azzurro elettrico, con i colori aguzzi, liquidi,
infuocati” (pag. 103). Apocalisse –o rogo rinnovatore, come suggerirebbe
Fabrizio-fenice.
Con un po’ di fortuna, nessuno mai più la vedrà: questo è lo
scaramantico augurio. In fondo, proprio di fortuna
si tratta, quando la vita s’aggroviglia. Anche qui, è la dea capricciosa a
scegliere uno strano embrione, per far
rinascere la vita dopo il “Big Bang”. Del resto, niente va come dovrebbe andare
secondo il senso comune. “…Perciò” dice P.K. Dick, sul frontespizio “dovrei
riuscire a salvare il culo, in tutta questa baraonda…”
Vincenzo Di Pietro, Baraonda!,
(“I Leoncini”), Milano, 2012, Leone Editore. (In allegato a Libero, 24 luglio 2012).
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