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La città europea: teorie e sviluppo


Relazione per lo I.U.S.S., presentata al prof. Guido Martinotti a conclusione del corso del primo semestre sulla storia urbanistico - sociale delle città.

A. A. 2009/2010



Il titolo stesso di questa relazione pone un'implicita domanda: si può parlare di "città europea"? Ossia: le città dell’Europa presentano caratteristiche comuni e peculiari rispetto a quelle di altri continenti? Fra esse, sarebbero comprese quelle sociologiche, economiche e storiche. Dette caratteristiche saranno, per l’appunto, prese in esame nei seguenti paragrafi.



Perché "città europea"?

Al primo interrogativo risponde Serena Vicari Haddock, nel suo saggio La città contemporanea, edito da Il Mulino (Bologna 2004). L'autrice sostiene che la categoria di "città europea" è definibile soprattutto attraverso il confronto con quella americana, per via di talune particolarità riconoscibili [1]. Innanzitutto, gli agglomerati urbani, in Europa, si addensano intorno ad un centro, avendo pertanto una forma compatta. Il suddetto centro è portatore di luoghi simbolici e di memorie, essendo la parte più antica della città; allo stesso tempo, è la residenza dei ceti più benestanti, nonché l'obiettivo degli investimenti locali e nazionali. Per contro, la tipica città americana presenta una struttura a grid, a griglia geometrica, nella quale si alternano casualmente spazi vuoti e spazi costruiti. Essa è caratterizzata, in più, dal cosiddetto urban sprawl, ossia da un'espansione non controllata ed a bassa intensità. Il "centro", oltre ad essere meno chiaramente definito, è soggetto ad abbandono e degrado, mentre sono apprezzate le aree suburbane. Una seconda peculiarità delle città europee è la loro longevità, alla quale, peraltro, è legata la presenza di un centro storico. Esse, infatti, hanno mediamente un'origine assai antica, risalente all'urbanizzazione romana o ad agglomerati di età medioevale formatisi attorno a monasteri, castelli, mulini o mercati. Da questa longevità deriva il patrimonio architettonico ed istituzionale delle città europee. L'accumulo di conoscenze ed istituzioni ha conferito loro la capacità di superare periodi di declino economico, sfruttando posizioni geografiche favorevoli, risorse naturali o tradizioni di sapere. Attualmente, le città europee possiedono capacità finanziarie e conoscenze utili per dar vita ad un’economia “postindustriale”, basata sulle tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Una terza caratteristica europea è la densità del sistema urbano, come è visibile nella carta qui proposta, in cui ciascun punto rappresenta un agglomerato con più di 10 000 abitanti [2]:






Si notano concentrazioni urbane in Inghilterra meridionale, nei Paesi Bassi, nella Germania centrale e sulla costa adriatica italiana. Questa configurazione non è casuale, in quanto segue le vie medioevali di produzione, lavorazione e commercio della lana.
Anche le città europee di importanza internazionale si concentrano in un’area specifica, avente come spina dorsale il Reno, da cui la denominazione di “megalopoli renana”[3]:






I quadratini bianchi rappresentano i centri urbani di rilievo internazionale, i cerchietti grigi quelli di importanza prevalentemente nazionale. Il cerchio evidenzia l’area presa in esame.


Sociologia urbana in Europa
Le peculiarità che abbiamo rilevato comportano anche un modo specificamente europeo di accostarsi alla sociologia urbana, disciplina che, peraltro, è nata in Europa. Lo mette in luce Don Martindale, nei suoi Prefatory Remarks a: Max Weber, The City [4]. Egli sottolinea che i fondatori della sociologia urbana adoperarono materiali storici e mantennero uno sguardo sul passato delle città, proprio per via della loro longevità. Soltanto all'inizio del XX secolo la sociologia sarebbe divenuta una disciplina accademica autonoma e si sarebbe emancipata dalla storia, soprattutto in America.
In secondo luogo, in Europa, la sociologia avrebbe prestato attenzione al ruolo delle istituzioni come cause delle peculiarità di una città, in quanto parte irrinunciabile del suo patrimonio e della sua identità. Infine, detta disciplina, proprio per il suo legame iniziale con la storia, avrebbe studiato la società umana come prodotto di un'evoluzione diacronica, spiegando gli eventi sociali con la scoperta delle loro origini. Questa peculiare impostazione ha portato al fiorire, in Europa, di una teoria istituzionale della città, con diverse varianti.

Teorie istituzionali della città
Non a caso abbiamo parlato di "più varianti" per la teoria istituzionale; esse differiscono, appunto, nell'istituzione considerata come originaria del fenomeno urbano. Tali sono quelle elencate da Don Martindale [5]:
·                   la teoria di Fustel de Coulanges: la città avrebbe avuto origine dal sinecismo religioso di gruppi fondati sulla parentela, i quali si sarebbero riuniti sotto l'egida di un culto comune ed avrebbero fondato un "focolare cittadino";
·                   la posizione di G. Glotz differisce da quella di Fustel perché pone al centro non il culto, ma il gruppo familiare. Nella nascita della πόλις avrebbero giocato tre forze: il γένος, il nascente potere statale-cittadino, l’individuo. Il secondo si sarebbe alleato con quest’ultimo per sottrarre potere al γένος; ciò avrebbe alimentato un individualismo disgregante per la stessa πόλις, rendendo necessaria la formazione di Stati più ampi. Lo sviluppo interistituzionale delineato da G. Glotz è più complesso che in Fustel de Coulanges. Dinamiche simili sono attualmente riscontrabili nel rapporto fra singoli Paesi, Unione Europea ed individui.
·                   Delle origini della città si sarebbe occupata anche la giurisprudenza comparata, soprattutto nella persona di Henry Sumner Maine. Egli ravvisò l’istituzione archetipica di molte società nel patriarcato. In esso, la parentela sarebbe stata la base per l’esercizio delle funzioni politiche. Detto principio sarebbe poi stato sostituito da quello di territorialità, con conseguente isolamento dell’individuo dal suo status familiare. Ciò avrebbe determinato la possibilità di molteplici relazioni “contrattuali”, ossia non fondate su un legame di sangue.          Da questi studi nacque l’attenzione al ruolo dei fenomeni legali: statuti, tribunali, leggi civili, nonché alla nozione romana di corporazione civica.
·                   Frederick William Maitland formulò la cosiddetta “teoria della guarnigione”: la città avrebbe avuto origine dal castello, dalla fortezza o dal borgo, a cui era preposto un cittadino. Si trattava anche di un luogo di rifugio.
·                   Simile a quella di Maitland sarebbe stata la “teoria militare” di Keutgen: la città, inizialmente, avrebbe ricoperto il ruolo di rifugio d’emergenza per la popolazione.
·                   Infine, Henri Pirenne teorizzò la cosiddetta “città episcopale”: le città romane decadute sarebbero divenute sedi vescovili. Gli episcopi avrebbero supervisionato i mercati settimanali e le fiere annuali, regolato i pedaggi, curato ponti e bastioni. Simili città sarebbero state poli d’attrazione per carovane mercantili che si stabilivano sotto le loro mura e vi si ritiravano in caso di pericolo. Proprio i mercanti avrebbero voluto nuove leggi, una giurisdizione privata ed una proprietà libera, se non addirittura una vera e propria organizzazione comunale. La città si sarebbe dunque configurata come comunità dei mercanti.

G. Simmel, M. Weber e la teoria urbana europea
La varietà dei punti di vista qui esposti fa comprendere il bisogno di una teoria dell’urbanesimo che sia più generale. A questo problema rispondono Georg Simmel e Max Weber, il primo con un formalismo neo-kantiano ed il secondo con una sorta di psicologia del comportamento.
Georg Simmel, per l’appunto, individuò le “forme a priori” dell’associazione, così come Immanuel Kant aveva individuato quelle dell’intelletto. Egli dichiarò di non poterle riassumere in espressioni sintetiche; noi proviamo a farlo per esigenze espositive. Dette condizioni o forme a priori sono delineate in: G. Simmel, Sociologia [6]:
·   la prima può essere detta “generalizzazione sociale”: all’interno di un gruppo umano, un elemento non è visto soltanto come individuo, ma anche come appartenente ad un preciso ceto, categoria o cerchia; ciò, allo stesso tempo, mette in ombra le caratteristiche individuali e ne attribuisce altre, ritenute peculiari di una data figura sociale;
·   la seconda è data dal confronto fra individuo e società, percepiti come distinti; la società, in altre parole, sarebbe avvertita come un tutt’uno organico, dal quale un singolo elemento umano può distinguersi o addirittura ad esso contrapporsi, con caratteristiche o stili di vita diversi rispetto alla media;
·   la terza è quella della professione: in una società, sarebbero distinguibili varie occupazioni, ruoli o anche solo inclinazioni naturali.
Ben diverso, come abbiamo detto, è l’approccio di Max Weber [7]. Egli ravvisa l’obiettivo della sociologia nella spiegazione delle azioni inter-umane, in termini di significato che hanno per le parti coinvolte e di cambiamenti fisici. Fondamentali, in Weber, sono i concetti di:
·   relazione sociale, che mantiene una configurazione costante ed esiste solo quando si verifica un’azione inter-umana. Per esempio, laddove qualcuno ordina ed un altro obbedisce (azione inter-umana), si ha una relazione di dominio-subordinazione:
·   istituzione, ossia sistema di relazioni sociali.
Partendo da tali fondamenti, Weber fu in grado di superare le varie forme di teoria istituzionale, dando vita ad una teoria della comunità urbana. Essa si basava sui seguenti concetti chiave:
1.  azioni sociali: comportamenti inter-umani aventi un significato per le parti coinvolte (vedi sopra);
2.  relazioni sociali: combinazioni degli elementi che compaiono nell’azione sociale;
3.  istituzioni sociali: relazioni sociali in un’intera rete di azioni sociali; anche: schemi di comportamento;
4.  comunità: unità sistematica di vita inter-umana distinta da un ordine di istituzioni (non una sola). Essa, nel senso vero e proprio del termine, è peculiarmente occidentale. Infatti, per “comunità urbana”, Weber intende un tutt’uno dotato di fortificazioni, un mercato, un tribunale con leggi (parzialmente) autonome, una relativa forma di associazione ed una certa autonomia ed autocefalia, con tanto di amministrazione eletta dai cittadini.

Volendo operare un confronto finale fra la sociologia urbana di G. Simmel e quella di M. Weber, possiamo dire che il primo ha impostato la disciplina come studio della forma, mentre il secondo ha accantonato la distinzione tra forma e contenuto per focalizzare l’attenzione sull’interpretazione causale delle azioni sociali.


Città industriale?
Viste le peculiarità della città europea e l’impostazione della sociologia urbana ad esse legata, ci concentreremo su un’altra questione: cosa abbia determinato lo sviluppo urbano nel nostro continente e quali collegamenti esso abbia con l’industria. Ci viene in soccorso, ancora una volta, Serena Vicari Haddock [8], che nota come il settore secondario abbia effettivamente stimolato la crescita delle città, ma anche che quest’ultima si è innestata sulle preesistenti strutture urbane medioevali. Ricorrendo alle stime dello storico Paul Bairoch, Serena Vicari Haddock afferma che, tra il 1800 ed il 1910, la popolazione urbana aumentò sei volte tanto, mentre quella totale raddoppiò [9]. Detto periodo storico è trattato da Paul M. Hohenberg, ne L’urbanizzazione e le trasformazioni strutturali [10]. Egli afferma che, nel periodo immediatamente precedente la Rivoluzione Industriale, “la crescita urbana rifletteva le dinamiche della popolazione rurale” [11]. Questo perché gli abitanti delle campagne, per le terre su cui vivevano e lavoravano, pagavano un affitto a proprietari residenti in città; con l’aumentare della pressione demografica sulla terra coltivabile, gli affitti tendevano a crescere ed alimentavano l’economia urbana. Tuttavia, il motore della migrazione dalla campagna alla città non sarebbe stata questa “spinta rurale”, bensì
un’ “attrazione urbana” (XVIII – XIX secolo). Si aggiunga che attività non agricole erano già diffuse in campagna, nelle forme della protoindustrializzazione rurale e del lavoro a domicilio. La prima consisteva nella produzione, con tecniche tradizionali, di manufatti destinati alla vendita; il secondo era la fabbricazione di prodotti finiti da parte dei contadini su commissione, impiegando materie prime fornite dal committente.
Coloro che s’inurbavano, pertanto, avevano già dimestichezza con il lavoro non agricolo, da cui la ricerca di un impiego in fabbrica.
Il pendolarismo, coi mezzi di allora, non era praticabile; ciò comportò la formazione di conurbazioni intorno a fabbriche e miniere. La loro crescita non era regolarizzata; mancavano igiene e comfort.
Rispetto a P. M. Hohenberg, S. Vicari Haddock aggiunge che la crescita urbana legata all’industrializzazione non avrebbe messo in discussione la rete e la gerarchia fra le città europee, ereditate dal passato. L’importanza dei vari centri rimase legata alle funzioni commerciali ed amministrative già svolte in epoche precedenti [12].
Rispetto a quanto è avvenuto in altri Paesi europei, in Italia la crescita urbana è stata più lenta e con maggiori differenziazioni territoriali. Ha avuto come esito la formazione di aree coperte da una rete composta da centri di dimensioni medio - grandi.
La crescita urbana, in Italia, si è articolata in due fasi: fra l’Unità e la Seconda Guerra Mondiale, l’assetto urbano si è evoluto con lentezza e linearità; dal secondo dopoguerra ad oggi, si è avuta una modificazione più veloce e profonda, con la formazione di nuovi insediamenti metropolitani ed un incremento della popolazione urbana non per cause naturali, ma per via di migrazioni interne.

Descrizione della città industriale
La nascita della cosiddetta “città industriale”, tra XVIII e XIX secolo, comportò nuove fondamenta per l’economia: la ricchezza non proveniva più dalla terra, ma dall’investimento di capitale in mezzi di produzione. La manifattura costituì un’innovazione sociale e tecnologica. Una tappa fondamentale fu l'invenzione della macchina a vapore (1769), in grado di fornire forza motrice a più apparecchiature. Il primo sviluppo della manifattura si ebbe in Inghilterra, per via della collocazione geopolitica, del suo controllo sulle rotte atlantiche, delle sue risorse, dell'accumulazione primitiva di capitali e -non ultimi- dei valori calvinisti, come mette in luce Max Weber (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904). Un certo tipo di produzione manifatturiera era già sviluppato: si veda quanto abbiamo detto circa la protoindustrializzazione [13].
L'industrializzazione vera e propria, invece, si ebbe all'inizio in città di dimensioni allora non elevate: Manchester, Liverpool, Birmingham, Leeds. Essa determinò il  delinearsi di stridenti disuguaglianze fra la borghesia industriale e finanziaria da una parte e lavoratori e sottoproletariato dall'altra [14]. Tuttavia, P.M. Hohenberg ricorda che la città del XIX secolo non era soltanto un'appendice della fabbrica o dello stabilimento. In essa, esisteva il settore dei servizi, popolato da figure professionali tradizionali (lacché, modista, sacrestano) o di tipo avanzato (tecnico di laboratorio, operatore di borsa, agente di viaggio) [15]. Come riconoscono M. Weber e G. Simmel, in città qualunque cosa tende a diventare una professione [16]. Ciò ci invita ad evitare qualsiasi dualismo, parlando di disuguaglianze nella società urbana.
Purtuttavia, è innegabile che la città dell'Ottocento fosse fisicamente divisa tra quartieri benestanti e quartieri operai. Non stupisce, dunque, la caratteristica presenza di movimenti riformatori durante la seconda industrializzazione, fra la fine del XIX secolo e la Seconda Guerra Mondiale. Il frutto visibile fu lo sviluppo di infrastrutture e misure igieniche (acquedotti, fognature). Un ulteriore miglioramento fu dovuto allo sviluppo dei trasporti pubblici, che permise alla popolazione di distribuirsi ed uscire dai quartieri insalubri.

Città e cultura
Oltre al legame fra crescita urbana e industria in Europa, non può essere taciuto quello fra città e cultura [17]. Abbiamo già detto che i centri urbani del nostro continente, nella loro lunga storia, hanno accumulato patrimoni storico-istituzionali e tradizioni di sapere. Essi sono anche il luogo dove la cultura continua ad essere prodotta e fruita, in scuole, università, accademie, teatri, musei... P. M. Hohenberg [18] sottolinea come, fin dal XIX secolo, le città europee ospitarono associazioni culturali e sportive (canto corale, squadre di calcio), furono la culla dell'istruzione di massa e videro il successo dei giornali, sia come mezzi d'intrattenimento che come veicoli d'informazione, politicamente impegnati.
Per "cultura", tuttavia, non intendiamo solo quella comunemente detta. Essa è anche il complesso delle interazioni fra ambienti eterogenei ed orientamenti diversi; dette interazioni producono poi una spinta dinamica verso trasformazioni che possono concretizzarsi in correnti artistiche, prodotti, servizi, stili di vita.

Conclusioni
Il dinamismo tipico dell'ambiente urbano, unito alla capacità delle città europee di trovare risorse economiche e di sapere al proprio interno, le sta portando ad affrontare le più recenti trasformazioni. Come abbiamo già accennato, la città europea odierna non può più definirsi propriamente "industriale"; il settore dei servizi e delle comunicazioni ha bisogno dei centri urbani ancor più dell'industria, per le loro caratteristiche di punti di snodo. L'internazionalizzazione dell'economia richiede una centralizzazione delle funzioni strategiche, in campo commerciale, finanziario o produttivo. Il processo di concentrazione industriale porta alla formazione di imprese-rete che acquistano servizi da agenzie specializzate (pubblicità, distribuzione), poste a propria volta in reti che collegano fra loro i centri urbani. Non meno determinante è la finanziarizzazione dell'economia; lo spostamento dei capitali avviene ormai attraverso centri d'informazione, banche dati e reti accessibili indipendentemente dalla propria localizzazione fisica. Proprio questa decontestualizzazione richiede spazi di ricontestualizzazione (sedi di Borse, quartieri), non collocabili se non in un contesto metropolitano. Infine, il fatto che l'economia qui descritta abbia carattere globale aumenta il bisogno di scambiarsi informazioni e conoscenze, tramite interazioni face to face e su base fiduciaria che hanno luogo proprio nelle città.
L'ambiente urbano, tuttavia, non è dinamico solo dal punto di vista economico. Nel paragrafo su "Città e cultura", abbiamo parlato di eterogeneità ed incontro fra modi di vivere e di pensare. Ciò ha effetti anche sull'identità del singolo, spinta da questa eterogeneità culturale e da varie possibilità di scelta a ridefinirsi continuamente ed a prender coscienza della propria particolarità. La città europea, dunque, è anche il luogo in cui avviene il processo di individualizzazione dell'essere umano, così evidente nel mondo attuale.

Note
[1] Serena Vicari Haddock, La città contemporanea, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 23-28
[2] Fonte: Moriconi - Ebrard [2000]
[3] Fonte: Dematteis [1997b]
[4] Don Martindale, Prefatory Remarks: The Theory of the City, in: Max Weber, The City, Collier Books, New York 1962, pp. 45-54
[5] Ibidem
[6] Georg Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998, pp. 26-39
[7] Don Martindale, Prefatory Remarks…, pp. 54-60
[8] Serena Vicari Haddock, ibidem, pp. 53-68
[9] Serena Vicari Haddock, ibidem, pag. 32
[10] Compreso in: AA.VV., Storia d’Europa, vol. 5, Giulio Einaudi Editore, Torino 1996
[11] Ibidem, pag. 29
[12] Serena Vicari Haddock, ibidem, pp. 32-33
[13] P. M. Hohenberg, ibidem, pp. 30-32
[14] S. Vicari Haddock, ibidem, pp. 58-62
[15] P. M. Hohenberg, ibidem, pag. 25
[16] Cfr. D. Martindale, ibidem, pag. 57
[17] S. Vicari Haddock, ibidem, pagg. 147-149
[18] Ibidem, pp. 38-40; pag. 54



Bibliografia

·                     Paul M. Hohenberg, L'urbanizzazione e le trasformazioni strutturali, in AA.VV., Storia d'Europa, vol. 5, Giulio Einaudi Editore, Torino 1996
·                     Don Martindale, The Theory of the City, prefazione a: Max Weber, The City, Collier Books, New York 1962
·                     Georg Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998
·                     Serena Vicari Haddock, La città contemporanea, Il Mulino, Bologna 2004


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