Qualcuno
dice che, dopo gli anni Settanta, il privato è divenuto politico. Un mio amico
ha persino asserito che la privacy sia una vergognosa invenzione borghese.
Tutto questo è una c****a pazzesca.
O
meglio: posso comprendere le ragioni di chi ha militato in quella precisa
situazione, in cui tutti i costumi considerati “intoccabili” andavano
ridisegnandosi turbinosamente, a partire dalla sessualità e dalla famiglia. Io non mi trovo “in quella precisa
situazione”. Semmai, ne sono figlia. Vivo in una società talmente elastica –
quanto a “libertà di comportamento” – da lasciar persino spazio a vecchi
bigottismi – forse, per nostalgia. Poi, ci sono i nuovi bigottismi, anche questi per nostalgia. Nostalgia di un
momento storico in cui si era davvero convinti di poter cambiare il mondo, in
cui ci si poteva infiammare di passioni politiche senza passare per pagliacci o
per illusi. Sono state pure create pagine Facebook che inneggiano agli “anni di
piombo”. Evidentemente, le risposte che essi avrebbero saputo dare al vuoto
esistenziale tipico dell’italiano odierno sarebbero state tanto potenti da
lasciar passare qualche attacco
terroristico qui e là.
Io, personalmente, vado superando il
desiderio di avvolgermi in una bandiera e infuriarmi sotto un’egida. Non per
indifferenza verso le scelte etiche, ma perché il menu ideologico che mi viene
servito è abbastanza scarso, per non dire inconsistente, e andrebbe rifatto da
capo – piuttosto che infervorarsi per una pietanza o per l’altra. Se io avessi
preso la strada della storia contemporanea anziché della filologia antica, all’università,
forse mi sentirei meno smarrita. Ma anche i miei amici dottoroni in storia
politica non se la passano benissimo, quanto a rapporto con l’epoca presente. Probabilmente, soffrono pure più della sottoscritta, perché vedono la situazione meglio
di me.
Già tutto questo dovrebbe far
comprendere la vanità dell’ideologizzazione
della vita privata, almeno ai livelli in cui è stato fatto nel passato
recente.
Ma
la questione è: perché, dopo la fatica
incompiuta di sbarazzarsi di vecchi bigottismi, bisogna crearsene di nuovi?
Tempo
fa, ho reperito un post di una “femminista di piazza” che stigmatizzava il “femminismo da salotto”
perché pretendeva di far lezioni su come una donna avrebbe dovuto gestire il
proprio corpo per “non perdere la dignità”. Ieri, una conversazione fra amici
ha ricordato la proposta di obbligare gli uomini a orinare seduti (con beneficio sociale che mi
sfugge, se non quello di evitare l’ “effetto idrante”). Per non parlare dei
fatti miei personali… ovvero, di persone che militano con me “contro
oscurantismo e moralismo”, per poi volermi venire a insegnare come debbo
comportarmi coi miei familiari, chi non sia il partner giusto per me e come io
debba condurre i risvolti della mia vita intima. Siete per la libertà di costumi? Allora, fatevi gli affari vostri.
Sorvolo, poi, su chi mi ha trattato
quasi da assassina – l’anno scorso – perché avevo allacciato un rapporto
sentimentale con uno di quelli che son detti “rossobruni” (coloro che, a vario
titolo, contestano il liberalismo predominante nei Paesi dell’Unione Europea). “Io
non ammetto che tu parli con uno del genere, se non per insultarlo!” mi fu
detto testualmente. Ora, è vero che il mio drudo, con la persona in questione,
se l’era andata a cercare, con la sua proverbiale testa dura e toccando
argomenti delicatissimi del vissuto dell’interlocutore. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Contesto, invece, il
principio del ragionamento: ovvero, quello per cui un sentimento sincero deve
essere soppresso in base alla convenienza politica. Perché di mera convenienza
si sarebbe trattato, nel mio caso: la
comodità di non dover dare spiegazioni a nessuno. (Inutile dire che non mi
prendo mai la responsabilità delle azioni del mio partner, il quale, in quanto
adulto, deve saperne rispondere da se stesso).
Peggio ancora la convinzione che chi
ha una relazione con una persona “sicuramente, la pensa come lei”. Questo non è
essere partner: è essere fotocopie. Non sarebbe certamente la mia idea di relazione
sana. Tanto per parafrasare il sempiterno Gibran, ripeto: in amore, bisogna riempirsi la coppa l’un l’altro, ma non bere dalla
stessa.
Il
colmo è stato raggiunto, quando qualcuno ha accusato una ragazza di “farsi
sfruttare” perché accettava una relazione poliamorosa con il fidanzato
ufficiale e con la prima ex di lui (sì, anche le due signorine se la intendevano
fra loro. Problemi?). Già: perché le donne sono sempre le vittime e gli uomini
sono sempre sfruttatori. Anche se, a spillare (con sotterfugi) soldi e favori in
natura non era il maschione. Certi “maestri di progresso” che vogliono “aprire
gli occhi agli altri” sanno ben chiuderli, quando si tratta del proprio turno.
Per favore, paladini dei deboli e
degli indifesi: cercate di rivedere le vostre categorie di “sfruttato” e “sfruttatore”.
Specialmente laddove c’entra il pelo pubico, che annebbia l’intelletto vostro
non meno di quello altrui.
Vien
voglia di dire: “Ridateci il prete!” Almeno, quello, pur parlando tanto di
Inferno, in confessione rimandava con quattro avemarie e il perdono assicurato.
Per chi ragiona “in stile anni Settanta”, invece, il perdono non esiste: linciamo l’amante del diavolo, la strega che
è stata col “fascista”…
Quanto a me, io voglio la privacy,
voglio la distinzione fra pubblico e privato, voglio restare umana. Voglio
poter scoreggiare in santa pace, senza che i vari aromi delle mie flatulenze
siano dissezionati per poter giudicare se ciò che ho mangiato era politicamente corretto. Voglio
innamorarmi e avere una relazione senza dovermi fare mille seghe mentali sulla
convenienza di tutto ciò (ma non era questo la liberazione sessuale, una volta?). Voglio che il mio indirizzo di
casa e i nomi dei miei cari restino riservati, senza lo spauracchio del “loro
sanno dove trovarmi, se sgarro”. Soprattutto,
voglio conservare i miei affetti senza essere considerata un’assassina
per una cosa tanto naturale. I miei cari hanno difetti, sì… e allora? Non toglie il fatto che le
nostre affezioni siano sincere e che, come tutti gli esseri umani, ne abbiamo
bisogno. In particolare, perché il bello dei sentimenti è che sono gratuiti e sanno superare le barriere, con la loro meravigliosa ineluttabilità di
matrice inconscia. Soprattutto, quando dico che “voglio” tutto questo… intendo
dire che lo voglio per tutti. Perché
dover regolare le simpatie umane, le passioni, le parentele e finanche i
pruriti fisiologici sull’orologio del Politicamente Corretto sarebbe un incubo
peggiore di quelli immaginati da G. Orwell.
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