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Il castello e il bue



Da una parte, la Castiglia del XVI secolo; dall’altra, un’eco del mondo rurale indiano e cinese. Diverse tradizioni spirituali – non esclusa quella sufi – hanno sentito il bisogno di rappresentare l’evoluzione dell’esperienza mistica sotto forma d’un percorso. A essere diverse sono le metafore scelte per farlo, tratte dai vari contesti quotidiani e concreti. Mi è perciò venuta la curiosità di accostare il Castello interiore di S. Teresa d’Avila (1515-1582) ai Dieci Quadri sulla Cattura del Bue (XII sec. d.C.).
            Il primo è lo scritto più sistematico lasciato dalla mistica spagnola e descrive il cammino verso Dio (nascosto nel centro dell’anima) come l’attraversamento di sette dimore di un castello (l’anima umana, appunto). La seconda è una serie di dipinti che ha conosciuto diverse versioni, con aggiunte successive; essa rappresenta la ricerca di un bue da parte del contadino che l’ha smarrito. I Dieci Quadri rientrano nella tradizione spirituale zen. Il Bue rappresenta la Mente del Buddha e il contadino è il praticante della via spirituale. La scelta di un bovino ammicca alla culla del Buddhismo, l’India, ove le vacche sono sacre; ma è anche – come abbiamo accennato – un dettaglio realistico dell’economia agricola cinese nel XII sec. Per l’appunto, lo Zen nacque dall’incontro fra questi due mondi, prima di trapiantarsi e affermarsi in Giappone. La metafora del bue apparve in seno al Buddhismo Ch’an (termine cinese per “Zen”) già nell’VIII sec., sotto forma di un sibillino scambio di battute:

Monaco Tai-an: «Vorrei essere istruito nel buddhismo, che cosa è?»
Maestro Pai-chang (720-814): «È come se cercassi un bue mentre lo stai cavalcando».

Fin da questo momento, possiamo vedere come S. Teresa d’Avila non possa fare a meno delle nozioni di “Dio” e di “anima”, mutuate dalla teologia in cui era stata formata, mentre esse sono completamente assenti nei Quadri. Azzardando un parallelismo – non facilissimo da istituire – i due percorsi possono essere rappresentati così:

Il Castello Interiore
La Cattura del Bue
I Dimora: Lontananza da Dio (centro dell’anima); molti animali velenosi che disturbano il cammino.
I Quadro: Ricerca del Bue. L’uomo volta la schiena al Bue e si trova davanti a un groviglio di strade.
II Dimora: Libri, sermoni e insegnamenti fanno nascere il desiderio d’intraprendere il cammino spirituale. Baraonda dei demoni e aiuto del Signore.
III Dimora: Regolarità nelle pratiche di pietà. Consiglio: aumentare lo zelo ed esercitare l’obbedienza. Badare ai propri difetti e lasciar stare quelli altrui.
II Quadro: Scoperta delle tracce. Grazie ai sutra (= raccolte di scritti buddhisti) e agli insegnamenti, si scoprono le “tracce del Bue”, ovvero il modo per ricercare l’illuminazione.
IV Dimora: Dilatazione del cuore che porta al pianto. S. Teresa distingue il pensiero concettuale dall’intelletto. Paragone idraulico: confronto fra un complesso acquedotto (= metodi di meditazione che portano alla gioia) e una fonte naturale (= diletti che nascono dal profondo dell’orante). Descrizione dell’ “orazione di raccoglimento”, in cui l’anima rientra in se stessa/sale sopra se stessa. Problema: cercare di “non discorrere con l’intelletto”; “trattenere il pensiero”. Evitare ogni sforzo, anche quello di arrestare il pensiero concettuale. Lasciar perdere l’intelletto e “abbandonarsi fra le braccia dell’amore”. Pericoli degli eccessi nell’orazione o nelle penitenze: istupidimenti, fantasticherie.
III Quadro: Prima apparizione del Bue. Vedere dentro di sé la fonte di tutte le percezioni, ovvero i sensi.
IV Quadro: Cattura del Bue. L’uomo raggiunge il Bue (ovvero, la mente) e cerca di domarlo (= tenta di non indugiare in pensieri concettuali).
V Dimora: Essere morti al mondo per vivere in Dio. L’intelletto tace. Inganni del demonio (false virtù che ci si attribuisce), da cui la necessità di mortificare l’ego e l’amor proprio. Metafora per questa fase: farfalla appena uscita dal bozzolo.
V Quadro: Addomesticamento del Bue. Comprendere che anche il pensiero concettuale viene dalla Vera Natura dell’uomo.
VI Quadro: Il ritorno a casa sul Bue. Equanimità, imperturbabilità, serenità.
VI Dimora: Ricerca della solitudine. Unico desiderio: unione con Dio. Pericolo: maldicenza altrui; ma sopravviene la liberazione dalla paura di questa maldicenza e dall’attaccamento alla reputazione. Angoscia per non saper comunicare col confessore; da cui, l’attesa della misericordia divina e una liberazione inaspettata da detta angoscia. L’anima, però, conosce la propria nullità e i propri peccati: non ha perciò consolazione. Percezione del “richiamo dello Sposo” (= Dio), ma senza poterlo raggiungere. La priora e il confessore devono intervenire, se l’orante sente “parole”. Oppure: parole/opere di origine divina, che creano la quiete nell’anima. “Visione intellettuale”. Rapimento/estasi/trasporto d’amore. Volo dello spirito. Scoppi di pianto (reazione fisiologica che provoca debolezza). Nessuna preoccupazione per castighi o premi ultraterreni. S. Teresa raccomanda di continuare a pensare all’umanità di Cristo, nonché a quella di Maria e dei santi. Raccomandazioni: non rifuggire dalle cose corporee; rivolgersi a un confessore dotto.
“Visione immaginaria”. Desiderio angoscioso di vedere Dio, da cui un’improvvisa trafittura, simile a una saetta, che mette in pericolo di morte. Senso di solitudine e sete. Maggiore distacco dal mondo, ovvero dalle brame.
VII Quadro: Il Bue è dimenticato, resta solo il Sé. Cade la dualità fra l’uomo e la propria mente.
VIII Quadro: Oblio del Bue e del Sé. Svaniscono le sensazioni illusorie e le idee di perfezione spirituale. Purificazione dall’orgoglio.
VII Dimora: Matrimonio mistico, nel centro dell’anima. “Andare in pace”: svuotarsi di ogni cosa del mondo (brame e convinzioni), per essere riempiti di Dio. Incrollabile calma. Oblio di sé. Desiderio di servire Dio e compassione verso i nemici. Scompare il desiderio di morire, per poter vivere amando Dio e il prossimo. Accettazione della vita, ma (allo stesso tempo) nessuna paura della morte. L’intelletto riposa. Perfetta serenità.
IX Quadro: Ritorno alla Fonte. Stare dentro se stessi; incrollabile calma.
X Quadro: L’entrata nella piazza del mercato con spirito compassionevole. Mischiarsi agli altri uomini, nella vita di tutti i giorni, per essere d’aiuto a loro, senza alcun pregiudizio.

Come è visibilissimo nella tabella di cui sopra, è impossibile sovrapporre perfettamente i due percorsi. Innanzitutto, quello di S. Teresa fa riferimento alla società del monastero (la priora, il confessore, le maldicenze delle consorelle), mentre i Dieci Quadri fanno riferimento a un contesto laico. La carmelitana scalza non ha una “piazza del mercato” a cui mescolarsi, se non quella molto ristretta del convento. Anche il linguaggio e il modo di porsi di fronte al cammino spirituale sono condizionati dal contesto e dalla formazione ricevuta. Come accennavamo in precedenza, S. Teresa non può fare a meno di incontrare entità personificate come esteriori e distinte (Dio e i demoni), persino in un percorso che porta l’uomo dentro se stesso. Così pure non può eliminare la nozione di peccato, anche nella fase in cui svaniscono tanto l’amor proprio quanto le proprie idee di perfezione. Il culmine del suo percorso è un “matrimonio mistico”: il raggiungimento di un’unità, ma che implica comunque la presenza di due elementi distinti (gli sposi, cioè l’anima e Dio). Si può dire che una vera “eliminazione della dualità” fra l’uomo e l’oggetto della ricerca spirituale non si verifichi, nel percorso carmelitano, né la si voglia raggiungere. Dio è Dio e l’uomo è l’uomo, a rigore d’ortodossia. Analizzato, quasi dissezionato anatomicamente, è poi il tormento di chi si addentra sempre più nel Castello interiore. Esso è meno evidente nei Dieci Quadri, ma ciò non significa che sia assente. Il rapporto col Bue è una lotta. Fuori di metafora, chi avanza nella pratica della meditazione zen sperimenta la difficoltà della concentrazione, lo scardinamento psicologico e persino il dolore fisico, come è chiaro nelle pubblicazioni di Philip Kapleau già recensite su questo settimanale. Esse testimoniano anche di allucinazioni (S. Teresa, probabilmente, le avrebbe chiamate “disturbi dei demoni”) e di scoppi di pianto durante la meditazione (come avverrebbe nella VI Dimora). 

Quello che accomuna due percorsi spirituali tanto diversi per vari aspetti è il legame con l’esperienza diretta, nonché il coinvolgimento psicofisico totale. A prescindere dalla cultura, dal contesto storico e dalla società in cui si ritrova, il mistico è colui che sa andare oltre i meri concetti e le idee ricevute, per trovare il modo di toccare – dentro di sé – quell’Assoluto che è assenza di definizioni, dialettica, confini – in altre parole, Vuoto. L’impossibilità di suddividere questo Vuoto in parti, di sezionarlo con l’intelletto, fa sì che esso non lasci spazio a cose diverse da sé – e questa è la “pienezza” da raggiungere.

Testi di riferimento:

·         Autore, Migi, Le dieci icone del bue, Genova 1991, Erga Edizioni (disponibile on line sul sito di Gianfranco Bertagni:  http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/migi.pdf );
·         Kapleau, Philip, I tre pilastri dello Zen, Roma 1981, Ubaldini Editore (traduzione di Nazareno Ilari), soprattutto pp. 306 ss.;

·         Teresa d’Avila, Il castello interiore, (“Letture cristiane del secondo millennio”), Milano 2005, Edizioni Paoline, quarta edizione (traduzione di Letizia Falzone).  

Pubblicato su Uqbar Love, N. 145 (23 luglio 2015), pp. 35-38.







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