Highlander (1986; regia di
Russell Mulcahy) è un film che, finora, avevo conosciuto soltanto attraverso
battute di spirito riguardanti l’immortalità. Per l’appunto, il protagonista è un
guerriero scozzese, Connor McLeod (Christopher Lambert), condannato a
combattere con altri immortali come lui, finché “ne resterà soltanto uno”
(cit.). Ciò che mi ha convinto, finalmente, a vedere questo film cult (lo so: la mia ignoranza in merito
è da lapidazione…) è l’essere venuta a sapere che la colonna sonora contiene
canzoni composte ad hoc nientemeno
che dai Queen. Responso personale: niente da dire… davvero, merita l’ascolto integrale. E non
avrebbe potuto essere altrimenti. Sottolineo, in particolare, una perla
struggente come Who Wants to Live Forever e una grintosa come Princes of the Universe. Probabilmente, finirò per canticchiarle durante le prossime
settimane.
La visione del film in sé, invece,
si è consumata in assoluta anestesia emotiva da parte mia. A pelle, mi è
sembrato la classica americanata, un film d’azione venato di fantasy.
Complimenti, comunque, all’attore Clancy Brown e a chi l’ha truccato: la sua
era la migliore faccia da pazzo che io abbia mai visto su uno schermo.
Eppure, qualcosa mi spinge a spender
qualche parola in più su Highlander. Intanto,
esso tratta il tema dell’ “immortale che deve trovare la forza per andare avanti”. Un leitmotiv che riscuote sempre interesse (come dimenticare Intervista col vampiro e Miriam si sveglia a mezzanotte?), dato
che tocca una corda dolentissima per ognuno. Trovare la forza per restare in
piedi e farsi una ragione del fatto di essere al mondo è qualcosa che coinvolge
tutti, anche se non si ha un’aspettativa di vita plurisecolare. Per l’appunto,
la nozione di “forza” è la seconda vena portante del film. Kurgan (Clancy
Brown) è unanimemente riconosciuto come “il più forte degli immortali”.
Intendendo ciò in termini di forza bruta, è impossibile controbattere. Kurgan è
una belva e basta. Ha risolto i problemi esistenziali tipici dei propri simili
(per parafrasare Italo Calvino) divenendo parte dell’inferno dei viventi. Non
lo toccano né affetti, né doveri, né empatia. Quella morte da cui lui è
esentato rappresenta un giocattolo, ai suoi occhi. Non ha paura nemmeno degli
altri immortali, perché è convinto d’essere destinato a sconfiggerli tutti.
Con lui, Connor ha in comune la
solitudine, a cui i loro simili sono condannati, a causa del terrore che gli
umani comuni proverebbero davanti alla loro anormalità. Anche quando trovano
qualche affetto, sono destinati a perderlo, per la morte del loro congiunto.
Cosicché, possono avvertire una fratellanza soltanto con gli altri immortali,
che sono anche coloro con cui sono destinati a giungere a un conflitto mortale.
Questo inevitabile paradosso scatena – possiamo dire – la vera “natura morale”
di ciascuno. C’è chi ricerca i fratelli più ingenui per istruirli, come fa
Ramírez (Sean Connery), con la sua inesauribile bonarietà. C’è chi preferisce
non pensarci troppo e rimembrare, piuttosto, gli aneddoti divertenti dei secoli
passati – ed è la soluzione di Kastagir (Hugh Quarshie). C’è l’ossessione di
potere e vittoria di Kurgan. E c’è il senso
del destino che guida Connor: non gli interessa “il Premio” promesso
all’ultimo immortale che rimarrà al mondo; sa soltanto che uno solo è destinato
a sopravvivere e che quell’uno non deve essere Kurgan, per il bene
dell’umanità. Questo è il secondo genere di forza proposto dal film, nonché
quello che risulterà vincente: la forza di chi rinuncia al proprio io. Bene non seppi, fuori del prodigio che
schiude la divina Indifferenza…
Di curioso c’è anche il senso del sacro che accomuna questi
peculiari “fratelli”. Provengono da culture e religioni diverse; fra loro, c’è
anche chi – come Kurgan – non rispetta né uomini, né dei. Eppure, nessuno di
loro oserebbe attaccare battaglia in un luogo di culto. È il loro unico tabù e
lo rispettano senza deroghe. Ciò fa pensare alla radice stessa del sacro: il bisogno di norme non scritte
in cui riconoscersi, per elementari esigenze di sicurezza.
E il Premio? È stata la sua natura a
risvegliare il mio desiderio di riflettere sul film. Connor si ritrova ad
essere uomo fra gli uomini, capace d’affettività e d’aver figli. Ma non solo. È
ora in grado di avvertire i pensieri di tutti, compresi quei capi di Stato e
quegli scienziati che lui sa mettere in contatto fra loro, perché si
comprendano. Il Premio della
battaglia esistenziale, per chi riesce a distaccarsi dal proprio ego, è divenire uno con tutti.
A Kind of Magic (1986), l'album dei Queen che comprende
le canzoni inserite nella colonna sonora
di Highlander.
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