"Milano, 1 marzo 1932
Antonello,
le tue parole mi hanno fatto male, tanto, tanto; ma sono molto calma e vedo senza turbamento quanto di vero mi hai detto e voglio tentare di spiegarti, se ancora mi vuoi ascoltare e la mia voce non ti è ormai fastidiosa, quanto di non vero tu pensi dell'anima mia. [...]
Io oggi non so più se tu allora raccogliesti le mie parole; ma allora mi sembrò che veramente qualche cosa di duro si sciogliesse tra noi e te lo dissi - ti rammenti? - e piangevo di dolcezza e tu non mi dicesti, come ora, che il piangere mi fa brutta, ma così mi dicesti: 'Stellina, sei più bella quando pensi delle cose come queste' e mi baciasti la fronte... Ed ora mi accusi di insincerità.Che cosa hai ora da rimproverarmi che allora non esisteva?... [...]
Tu non ammetti che oggi si senta e si creda vera una cosa e che domani la si riconosca falsa? Oppure pensi che, pur riconoscendo sbagliato uno dei nostri atti passati, questo atto ci obblighi a credere anche oggi a ciò che ieri ce lo aveva ispirato? Ma come, ma come, ma come hai potuto pensare che in quel momento io non fossi sincera, che in quel momento non credessi a quel che scrivevo? Mi accusi di verbosità. Ma dunque pensi che chi è verboso non creda alle proprie parole?
Pensi che verbosità sia come dire: qui ci sta bene un 'giuro', qui ci sta bene un 'supplico', qui ci sta bene 'Dio'?
Ma come, come, come puoi pensare che io giuochi con le mie parole così?
Accusami d'impulsività: in questo sì, hai ragione, hai ragione.
Il mio torto massimo è proprio questo: di prendere per duraturo quello che è mutevole, e di fermarlo in iscritto e di gettarmi in esso con passione e dopo poco riconoscerlo per quello che è e rimediarlo, vedere il suolo fermo là dove non sono che nuvole.
E tu questo lo chiami insincerità, Antonello? Ma chi è impulsivo non può essere insincero! Chi è impulsivo è anzi troppo sincero, perché non lascia nell'ombra il minimo dei suoi moti d'animo, ma tutti li esterna con lo stesso accento di verità."
ANTONIA POZZI
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