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Non è l'inferno


È presupposto generalmente accettato che un “giovane” desideri “cambiare il mondo”: luogo comune che non pochi studenti di belle speranze si affannano a confermare.
A me, detto pregiudizio sembra di non lunghissima data. A parte la scapestrata gioventù di Plauto, o i clerici vagantes insofferenti a dogmi ed ascesi, pochi esempi remoti mi sovvengono. Probabilmente, il tòpos di cui sopra non ha preso veramente piede se non dopo stagioni come la Beat Generation o il Sessantotto. Prima, si ritrovano, più che altro, il rovesciamento carnevalesco volutamente effimero (Gaudeamus igitur,/iuvenes dum sumus...), il beffardo gioco di spirito (Cecco Angiolieri docet) o certo “progressismo” culturale di nicchie privilegiate (Catullo e i poetae novi). La figura del “giovane ribelle” è, plausibilmente, tota nostra: di noi figli del secondo dopoguerra. “Ribelle”, poi, fino a un certo punto, perché la stragrande maggioranza dei miei coetanei non rivoluziona granché. Anzi, ha bisogno di quella famiglia, di quell’università e di quello Stato che sarebbero “il vecchio”. Eravamo quattro amici al bar/e volevamo cambiare il mondo...
Non mi colpisce questo, che è abbastanza ovvio (tutti noi, automaticamente, campiamo a partire da ciò che è stato costruito da chi ci ha preceduto). Mi rende perplessa, semmai, quell’umore serpeggiante fra gli “ingenui giovani” (alla Foscolo): la convinzione che il mondo così com’è sia il Male e che vada “cambiato”. Cambiato, peraltro, sulla scorta di ideali ricavati da scuola, libri, famiglia, film, personaggi storici, figure pubbliche, religione…in altre parole, proprio da quel “mondo” che vorrebbero “diverso”. E accusano di cinismo, quando si mostra che le loro idee non sono per forza oro colato.
            Io dico: il “mondo” non è il Male. Non è una griglia di cui ridisegnar le maglie.
È un organismo vivente immenso e fluido. Un mostro di bellezza e terribilità che non “viene cambiato”, bensì cambia. Spesso silenziosamente, come il nostro corpo. È simile all’erba che inghiotte e trascende anche gli alberi caduti –o i cadaveri impilati. Noi siamo la sua erba. E questo mondo non è diabolicum. È tremendamente humanum. Coincide con ciò che noi siamo e qui stanno tutta la nostra impotenza e la nostra forza.
            Io, da parte mia, non desidero “cambiarlo” prima d’averlo conosciuto. E la conoscenza è infinita. Pericolosa e faticosa più di qualunque militanza. Ma può riscattare la vita davanti alla morte: qualunque cosa vi sarà “dopo”, aver amato e assaporato la Terra per quel che è avrà reso pieno e intenso lo stare al mondo. Chissà che l’apprendimento incessante non sia, in fondo, la rivoluzione più apocalittica, per quel ruminator d’idee ricevute (o affrettate) che è l’uomo. I am the grass. Let me work.

Commenti

  1. Brevemente, dimentichi il contributo di centinaia di migliaia (se non milioni) di giovani, negli ultimi due secoli, alle lotte d'indipendenza nazionale e alle rivoluzioni socialiste e nazionaliste. Basti pensare all'itinerario di una canzone come "Giovinezza" o a Curtatone e Montanara o ai ventenni ribelli del Cuartel Moncada.

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    1. Dimenticanza strategica. Sapevo che ti avrebbe fatto piacere parlarne. ;) :p

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