Maledetta
penombra che cancella
gli
angoli con il suo passo di gatto,
per
tessere un fondal di confidenza
a
te che mi chiami: “Attico…” – è il segnale
del
tuo profluvio materno e terribile,
della
mia complice ed interna assenza;
maledetto
il paradosso normale
in
cui sboccian questi fiori del male.
Non
so se mi tiene affetto o timore
stretto
ad un lembo della tua ombra;
sei
lo spettro che torna a posare
sulla
mia fronte un bacio lunare;
poi
te ne vai, lasciandomi ai sogni
di
questo giorno svegliato di colpo;
sono
il piccolo principe dei tuoi
dolcissimi
deliri che non vuoi.
So
che non moriresti senza me,
ma
vivresti di meno; non ti fermi
presso
il mio focolare, ma ritorni,
quando
ti chiama il vuoto di penombra,
e
bevi dal mio corpo un abbraccio
che
mi lascia più caldo –e più alienato.
Non
sono il tuo calice –e forse t’odio
per
questo –ma non conosco il tuo nome,
che,
nel rito, salmodio.
Compresa in: Fondazione Mario Luzi, Gli inediti del Premio Internazionale, vol. 3/2012, pag. 160.
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