Quando Emma ha proposto a Sanremo Non è l'inferno, qualcuno l'ha trovata una canzone strepitosa; qualcun altro ha storto il naso, davanti al suo linguaggio patriottico e -forse- anacronistico. "Edmondo De Amicis era più dignitoso, eppure lo si cita con ironia". Quando si considerano i contenuti, però, la voglia di scherzare dovrebbe sfumare.
Confesso d'aver provato anch'io un moto di ripulsa iniziale, davanti ad espressioni come "chi ha creduto nel Paese". Non è il mio linguaggio. Non è il linguaggio dei miei coetanei, per i quali "il Paese" è il luogo da cui alzare i tacchi, se si è colti e di belle speranze. Ci fa sorridere amaramente De Amicis, perché vedeva nella scuola pubblica le fondamenta ed il cemento dell'Italia: a proposito di riforma Gelmini... E "l'Italia"? "L'Italia... dove l'ho messa???" Giorgio Gaber ci aveva avvertito.
Ci turba la storia di un uomo che ha combattuto in trincea per "il Paese", perché -oggi- vediamo ben pochi motivi per dare ad esso il nostro sangue. Il vecchio patriota della canzone, duro e puro, stona con le volpi e le faine che costituiscono la quotidianità della "patria". Ci turba il fatto che ci urli in faccia ciò che sappiamo. Ci riconosciamo troppo in quel "figlio di trent'anni" che teme il proprio futuro.
La giuria del Festival ha premiato il pezzo. Applaudire i Lari non li placherà. L'incenso del momento non fa ammenda per le sofferenze degli anziani e le incertezze del presente. Ma, come diceva un'altra nota canzone: Lasciatemi cantare... Sono un italiano. Potrebbe far bene sentirsele gridare, forti e chiare, dalla voce di Emma. Essere costretti a guardare ciò che siamo e ciò che non siamo più. Se non altro, per ricordarci che il nostro presente è stato pagato a caro prezzo da chi è vissuto prima di noi e ci ha passato il testimone. Riprendiamoci il diritto di dire che questo non è l'inferno, ma che non comprendiamo come sia possibile pensare che sia più facile morire. Se vogliamo, giungiamo pure ad invidiare Edmondo De Amicis. Perché, almeno, la sua non era un'Italia senza Cuore.
Da una discussione con Leonardo Asso
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