Passa ai contenuti principali

Un Carnevale da ricordare, tra passato e futuro

Quello del 2017, per Manerbio, sarà un Carnevale da ricordare. Il 18 febbraio, il palazzo comunale è tornato al 1717, con una “Serata in pompa magna”. In piazza C. Battisti, quella sera, sono giunti in calesse i conti Luzzago (alias compagnia “Le Muse dell’Onirico”): Trivulzio Vero Omo de ‘na Volta, detto il Ciurda, e la consorte, Clitolde Filippona d’Aragosta in Luzzago. Con loro, c’erano i figli: Atlante Can de Caio e Gazza Ferrea Menta; poi, la nuora Sgomenta Tirella, vedova de la Motella in Luzzago, la sorella della contessa (Annetta Brocola Lusarda D’Aragosta) e una dama di compagnia: Turtella Ciara Ripiena da Crevalcore. I conti hanno assistito al Palio delle Bestiazze: gara di corsa fra squadre travestite da animali. Tra i figuranti, c’erano anche i giovanotti venuti dalla Guinea per richiedere asilo politico, che hanno ringraziato i manerbiesi con una poesia. Di poeta era presente anche il RimAttore, Pier Paolo Pederzini da Crevalcore (BO): un improvvisatore di rime. 

Nel portico del municipio, erano state allestite una locanda e una pasticceria, per una cena proposta dagli Alpini e dall’oratorio. Qui, si è consumata la “Luzzagonovela”: la locandiera (“donna” di dubbia avvenenza) ha presentato Eneo Tiralo Quinto de la Putanesca, figlio d’un suo peccato di gioventù col conte. Il vecchio Trivulzio ha lasciato a lui tutta l’eredità… di debiti.
Dopo un minuetto e alcuni versi burleschi del veneziano Giorgio Baffo (1694-1768), è arrivata la seconda puntata: il RimAttore/usuraio ha requisito e messo in palio alla lotteria un loro prezioso anello (opera di Gianmaria Donini). La serata si è conclusa con l’elezione del primo Re Zuccone (l’uomo con la testa più grande). La sua corona, sempre realizzata dal Donini, rimarrà di proprietà del Comune. Sono stati presenti anche un coro e la musica settecentesca dal vivo.
            Il 25 febbraio, è stata la volta del “Carneàl MemoRABIL”, al Teatro Civico: “Chèi dè Manèrbe” e il rapper dialettale Dellino Farmer hanno festeggiato ricordando il poeta locale Memo Bortolozzi (1936-2010). Il Ciambellone di Corte, alias Nicola Bonini, ha presentato la serata. I classici di Dellino (“Fés”, “Oflàga”, “No pago pirlo”, “Sènsa vi”, “P.O.T.A.” e altri) si sono sposati bene coi componimenti del Memo: “L’osèl ferìt” (doppio senso nato dalla cattura di un uccellino in chiesa); “El capo” (lite fra le parti del corpo per la supremazia); “Al vestàre” (ovvero, come essere di peso ai genitori quando li si aiuta). Sono stati riproposti sketch sempreverdi: “Zènt che pómpa”, dimostrazione della potenza dei pettegolezzi; “Cliènt sènsa memória” (un tale entra in un negozio di vestiti, ma non ricorda cosa gli occorra…); il “bilancio sessuale” di due coniugi; un accenno a “I promiscui sposi” (parodia del capolavoro manzoniano). Sul palco, sono saliti anche i Cantùr dè Örölaècia, coi Menaguajos: musici messicani propensi alla… scaramanzia?
Dellino Farmer, in veste di sindaco, ha elogiato l’operosità dei bresciani e ha incoronato l’imperituro Ambrognàga re del Carnevale. La novità dell’anno era sua moglie: Madàma Galèta.
           
“Chèi dè Manèrbe” e la corte del Re Albicocca si sono ritrovati il giorno dopo in piazza C. Battisti, per la “Rivolta degli Ortaggi”. Frutta e verdura d’ogni forma e dimensione ha accolto i bambini mascherati, per scortarli all’oratorio e assistere alla premiazione del gruppo e della maschera più belli. I vincitori sono stati grappoli d’uva viventi e una leonessa col suo leoncino. L’AVIS rifocillava i presenti.
            Il pomeriggio del 28 febbraio, in luogo della festa all’oratorio “S. Filippo Neri”, è stata offerta ai bambini una proiezione di “Matilda 6 mitica”. Un cambio di programma, a causa della pioggia. Del resto, a Carnevale ogni scherzo vale. Anche per il tempo atmosferico.


Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 118 (marzo 2017), p. 9.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...