Una storia d’amore e d’amicizia è contro la mafia? Sì, perché la criminalità organizzata si ciba di sottomissione e di rivalità, che sono l’esatto contrario dei suddetti sentimenti. È l’idea alla base del romanzo di Alessandro Lucà: Ti proteggo io (2020, Edizioni Iod).
La
compagnia Teatro Diversivo ne ha tratto uno spettacolo che ha proposto al
Teatro Civico “M. Bortolozzi” di Manerbio, la sera del 26 maggio 2024. La regia
è stata curata da Dora Lazzari, l’adattamento era di Luca Iuliano; dell’aiuto
regia e delle luci si sono occupati Alice Salogni e Marino Maccarinelli. La
trama è la seguente.
Stefano
Conti (Simone Faberi) è uno scrittore arrivato al successo con un solo romanzo,
ma pesantemente afflitto da un perduto amore. L’abbandono della sua Giulia ha
seriamente compromesso la sua stabilità fisica e psicologica. Deve arrivare a
ripetersi una serie di regole, fra le quali la numero uno: “Giulia non esiste”.
Si riferisce al fantasma mentale della ex-fidanzata, ma la regola del “non
esiste” ricorda sinistramente qualcos’altro…
Questo
“qualcos’altro” diventa ancora più chiaro quando il manager di Stefano decide
di mandare lo scrittore in vacanza in Sicilia, per permettergli di riposare e
trovare nuove idee per la prossima opera. L’alloggio è presso la casa di un
contadino, Rossano Caruso (Luca Iuliano), che offre vitto e alloggio in cambio
di mezza giornata di lavoro nel suo campo. In fondo a quest’ultimo, Stefano
scopre casualmente tracce di un incendio e una corona del Rosario recante il
nome “Antonio”. Di quella tragedia, Rossano non vuole assolutamente parlare:
c’entra la mafia… e la mafia “non esiste”.
Di
sicuro, l’incontro fra i due uomini rappresenta una rinascita per entrambi.
Abbandonare i fantasmi del proprio passato non è un’impresa solitaria.
Soprattutto, una volta avviata, nemmeno le armi e le minacce possono fermarla.
Una storia semplice, ma intensa, espressa con una scenografia essenziale
costruita principalmente con scatoloni: da assemblare e smontare, da voltare
per rivelare il messaggio che vi è scritto sopra. Assomigliano ai “mattoncini
della vita”, che non è mai possibile mantenere nello stesso posto troppo a
lungo. Come a dire che le parole che ci portiamo dentro possono creare muri o
nuove possibilità… A decidere è ciò che ne fanno le nostre mani, come avviene
nel lavoro del contadino e dello scrittore.
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