Passa ai contenuti principali

Il maiale, buon spirito della Bassa Bresciana


maiale bassa brescianaDire “Bassa Bresciana” vuol dire anche “maiale”: quello che ci regala il salame festeggiato annualmente dal Bar Borgomella di Manerbio; quello da cui hanno origine lo spiedo e il “pà e salamìna” che non mancano mai alle sagre estive. Come se non bastasse, lo vediamo di continuo accanto a Sant’Antonio Abate. 
Veniva già allevato dai Celti, che si insediarono nel sito dell’attuale Manerbio a partire dal 395 a.C. (Vedi: “La Bassa e la sua memoria. Nove Comuni si raccontano”, a cura di G.M. Andrico ed E. Massetti, Roccafranca 2004, La Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori, pp. 64-65). Le fattorie celtiche coltivavano cereali e allevavano maiali e pecore: così spiega l’archeologo T.G.E. Powell (“I Celti”, 1999, EST, p. 85). L’antropologo Marvin Harris così nota, in un apposito capitolo di “Buono da mangiare” (Torino 2015, Einaudi): nutrito con frumento, mais, patate, soia e qualunque vegetale a basso contenuto di cellulosa, il maiale diventa prodigiosamente florido. Ciò spiega la sua presenza costante nelle suddette pianure fluviali dei climi continentali: il suo cibo ideale è quello più adatto a crescere nell’ambiente padano.
A questo punto, non stupirà più sentire che, in diverse culture dell’attuale Europa, il maiale incarnò lo “spirito del grano”. Ne parla l’antropologo J.G. Frazer, nella sua monumentale opera “Il ramo d’oro” (tr. it. di: “The Golden Bough”, Great Britain 1890, Macmillan and Co.). In proposito, l’autore menziona la Turingia, l’Estonia, la Svezia, la Danimarca… Ma espone anche il legame del maiale con Demetra, la dea greca dei raccolti, e con sua figlia Persefone. Il maiale (secondo Frazer) era sacro a Demetra; era raffigurato al suo fianco ed era sacrificato nel suo culto. Adone (dio greco di origine semitica), compagno di Afrodite e di Persefone, fu ucciso da un cinghiale: cugino selvatico del porcello. Stessa vicenda di Attis, il giovane amante della Dea Madre frigia Cibele. Il dio-ragazzo ripercorre la vicenda del seme: si unisce con la terra, muore, rinasce. E una figura suina ha un ruolo centrale in questo. A tal punto, non ci si può stupire di ritrovare associato al maiale anche Osiride, dio egizio dei cicli della vegetazione: Frazer menziona l’animale come sacrificato annualmente al dio. 
Freyja sul dorso del cinghiale
Freyja sul dorso del cinghiale
Altri significati ancora assumono i suini, presso le popolazioni celtiche. Se ne occupa la celtologa Sabine Heinz, ne “I simboli dei Celti” (Vicenza 2000, Edizioni Il Punto d’Incontro). L’aggressività del cinghiale lo rende simbolo guerriero e regale: conferma il suo collegamento con la virilità anche la storica Elena Percivaldi (“I Celti. Un popolo e una civiltà d’Europa”, Milano 2005, Giunti, p. 50). Per tornare alla Heinz: il cinghiale rappresentava pure la fecondità delle foreste. Il maiale simboleggiava ospitalità e gozzoviglia. Garantiva una vita sana e senza preoccupazioni. La sua capacità di riprodursi in gran numero ne ha fatto, una volta di più, un segno di morte e rinascita: “Viene usato come nutrimento dei morti oppure per essere rapiti verso il mondo dell’oltretomba” (S. Heinz, op. cit., p. 64). Le sculture raffiguranti cinghiali sono legate alla fertilità e alla prosperità delle greggi (T.G.E. Powell, op. cit., pp. 145-146).
Giovanni Raza, raccogliendo storie e leggende della Valle Trompia nel suo “Madóra che póra!” (2015), ha incluso fiabe su maiali indemoniati. Ne ricollega l’origine al legame che i suini avevano con la germanica Freyja, dea della guerra, della magia e della fertilità. L’alone infausto di questi animali nelle fiabe sarebbe quindi legato, oltre che al loro ruolo di intermediari dell’Oltretomba presso i Celti, anche alla demonizzazione dei culti precristiani. A ogni modo, la presenza del maiale rimane costante e benvoluta, nella nostra pianura: segno della vitale ricchezza di acqua e cereali.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 135 (agosto 2018), p. 10.

Commenti

  1. Articolo molto interessante, i miei complimenti!
    Nota di colore: nel bresciano è molto probabile che in epoca longobarda fosse attivo un culto di Frea (nome longobardo per Frigg, da taluni invece ritenuta la stessa Freyja), la presenza di toponimi quali “Gambara”, regina veggente di questo popolo guerriero legata, come riferisce lo stesso Paolo Diacono, dal mito proprio alla Dea di cui sopra, potrebbe essere un indizio importante.

    RispondiElimina

Posta un commento

Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...