“Il
mondo non mi domina più dall’alto. È sotto di me. Ho fatto una capriola e l’ho
inghiottito”. Così raccontava L. T. S., dopo aver sperimentato il kensho, l’ “illuminazione” dello Zen (Uqbar Love, N. 120, 24 gennaio 2015, p.
8).
Ogni persona che vive una
conversione inghiotte il mondo: le abitudini, le convinzioni, le passioni
precedenti, finanche se stessa. Sperimenta un luminoso stordimento quasi simile
alla pazzia, agli occhi di chi vi assiste. E quello è, allo stesso tempo, un
approdo e una partenza.
Agostino d’Ippona inghiottì il mondo
leggendo i Vangeli e le epistole paoline: un tuffo dalle parole della retorica
in una Parola d’altro genere. L’effetto fu una
luce di sicurezza infusa nel cuore (cfr. Confessioni VIII, 12), dopo lo stato di somma tensione e
frustrazione che precedette la conversione. Tanto l’accumulo di tensione,
quanto le lacrime di Agostino ricordano lo stato d’animo di coloro che hanno
affrontato l’esperienza del sesshin, giornate
di meditazione intensiva e collettiva nei monasteri zen (vedasi ancora Uqbar Love, N. 120, 24 gennaio 2015, pp.
7-8). Simile è la necessità di raggiungere un “punto di rottura” intollerabile,
prima di sentirsi infondere la luce di
sicurezza. Agostino ha però la certezza interiore di un “Tu” con cui
relazionarsi e parlare, con cui identificare la bellezza così antica e così nuova che si nascondeva dentro di lui, mentre
egli la cercava fuori di se stesso (cfr. Confessioni
X, 27). Questo “Tu” è, allo stesso tempo, residente nell’anima umana e
creatore di tutto quanto sta al di fuori di essa (cfr. ibid.). Per conoscerlo, bisogna consultarlo e ascoltarlo (Confessioni X, 26). Il “divino”
sperimentato da Agostino non è più – come nel politeismo latino – questa o
quella forza della natura, questo o quell’aspetto della vita civile
rappresentato in modo antropomorfo; purtuttavia, non può fare a meno di essere
concepito come una persona capace di relazione. Chi ha vissuto il kensho, invece, si descrive come parte
di un unico grande Sé miracoloso, di un Tutto, in cui non ci sono più un “io” e
un “tu”. (Cfr. Uqbar Love, numero
citato). La caduta della barriera fra l’ego e ciò che sta al suo esterno
provoca una limpida visione d’ogni cosa e una perfetta comprensione d’ogni
vivente (cfr. ibid.). Il tipo di
risveglio – o conversione – sembrerebbe dunque essere condizionato dal bagaglio
di spiritualità e convinzioni che l’interessato porta in sé, nonché dal
contesto specifico in cui l’ “illuminazione” avviene.
Se volessimo esprimere la sostanza
d’ogni risveglio, potremmo forse rivolgerci alla capacità d’intuizione dei
poeti – alla penna di Eugenio Montale:
Forse un mattino
andando in un’aria di vetro,
arida,
rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle
mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un
terrore di ubriaco.
Poi come s’uno
schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case
colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo
tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini
che non si voltano, col mio segreto.
Pubblicato su Uqbar Love N. 129, 2 aprile 2015, p. 7.
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