Mi
sono sempre domandata le ragioni d’un certo tipo di morbosità. Quella su cui si
basa la “macchina del fango” di cui parla Roberto Saviano. Quella temuta dalle
“brave mamme” riguardo ai figli e soprattutto alle figlie: «Non uscire con quel
vestito, non dire quella parola, non farti vedere con quella persona…» La
morbosità per cui non si distingue fra privato e pubblico. “Ecco le foto
del personaggio X mentre prende il sole/si cambia le mutande/bacia alla
francese…” Francamente, me n’infischio.
Il punto, però, è perché si
senta il bisogno di “scoprire altarini” che potrebbero anche restar dove sono.
Perché siamo bigotti.
Lo
so: non si direbbe. Non si direbbe nei licei, in televisione, perfino in
strada. Siamo abbastanza disinibiti da circolare in “pantaloni che sembrano
mutande”, come dice un mio professore. Ma non da concedere agli altri di essere
umani. «Oibò! Non mi sarei mai aspettato un gesto del genere da una persona
così fine!» E, subito dopo, giù a rifare quel gesto di persona.
Siamo
bravissimi a curare il restyling della morale altrui. Soprattutto circa
le inezie. Ci indigniamo a pelle, senza darci troppa pena di fare un
ordinato ragionamento etico.
Eppure,
proliferano alcool e motel, pub e discoteche, minigonne e bermuda. La “disinibizione”
è spalmata un po’ ovunque. Ecco, forse, la chiave dell’enigma: fate girare
l’economia. Cose che le “persone serie” mostrano di aborrire sono
benvenutissime, laddove ci sia da guadagnarci sopra. Lo diceva già Giovanni
Verga, nella prefazione a Eva (1873): “In
tutta la serietà di cui siamo invasi, e nell’antipatia per tutto ciò che
non è positivo –mettiamo pure l’arte scioperata- non c’è infine che la tavola e
la donna.” La “tavola” e la “donna” si vendono. Quando vengono slegati
dal denaro, perdono la patente d’accettazione sociale. Non è concepita la
gratuità d’un piacere, d’uno sfogo. Ancora meno concepito è che, a sentirne
il bisogno, siano anche persone colte e professionalmente competenti. Come se,
sul trono più alto del mondo, non si stesse comunque seduti sul proprio… (cfr.
Michel de Montaigne). Io dico: tutti abbiamo escrementi in corpo. La differenza
sta fra chi sa riconoscere il WC e chi non sa farlo.
Magari,
allunghiamo un po’ gonne e pantaloni e coltiviamo meglio la storia, la
filosofia e la filologia. Saremmo meno libertini, ma più liberi. L’apertura
mentale nasce quando si hanno l’istruzione e la pazienza di comparare ipotesi,
contestualizzare e capire logiche diverse. Una volta che avremo coltivato la
nostra mente, anche gli sfoghi necessari (sessuali, verbali, enogastronomici…)
avranno una fisionomia diversa. Non più “vergogne”, non più “consumi”. Ma
giochi di spirito essi stessi, in un carnevale che non negherà i nostri
principii abituali, bensì li confermerà per parodia. Soprattutto, guariremo
dall’assurdità del libertinismo bacchettone.
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