“Lasciamo
perdere gli antiwagneriani cretini, che pullulavano e pullulano, soprattutto in
Francia (la Carmen cadde perché la
sua musica fu giudicata ‘wagneriana’) e in Italia, dove la vanagloria
nazionalistica non muore mai. Sono una legione contrapposta ai wagneriani
cretini, anch’essi una legione, stigmatizzati da Nietzsche: ‘Ho conosciuto
birrai che capivano Wagner’. Lasciamo anche le battute più o meno spiritose,
più o meno intelligenti, come quelle attribuite a Rossini: ‘Non si può
giudicare il Lohengrin dopo un primo
ascolto, e io certo non intendo ascoltarlo una seconda volta. Wagner del resto
ha bei momenti, ma li fa scontare con terribili quarti d’ora.’ O come quella
famosa di Woody Allen, nel film Misteriosi
omicidi a Manhattan: ‘Ogni volta che ascolto Wagner mi viene voglia
d’invadere la Polonia’. Veniamo invece ai suoi oppositori, più che denigratori.
Tutti intelligenti. A cominciare dal grande storico e critico musicale viennese
Eduard Hanslick, amico di Brahms, che rimproverava a Wagner l’abbandono delle
forme chiuse o l’uso eccessivo del cromatismo. Salvo a ricredersi col quintetto
dei Maestri Cantori, senz’accorgersi
che il pedantissimo Beckmesser è una sua caricatura: in origine Wagner lo aveva
chiamato Hans Lick. Nietzsche, come si sa, da fervente e inneggiante fan di
Wagner si trasformò nel suo più acerrimo nemico. Ma senza cambiare di una
virgola il giudizio sulla sua musica. Ciò che Nietzsche rimprovera a Wagner è
di essere un decadente, un malato, come tutti gli artisti moderni. In realtà
odiava in Wagner il lato più oscuro di se stesso, la malattia di Wagner è la
sua: non illudersi sulle radici irrazionali della Ragione, sulla relatività
inguaribile dei sistemi morali. Antikantiani viscerali entrambi. Parsifal non è
un eroe cristiano, ma l’ambiguo adolescente che in qualche modo riflette il
desiderio, che c’è in tutti noi, di annientare la realtà che ci turba. Quasi
una reincarnazione del Budda, che aspira al grande Vuoto. Ed è vero che
Brunilde, Elsa, sono signorine borghesi che aspettano il principe azzurro. Il
negativo, la malattia dunque, che Nietzsche svela in Wagner sono il nichilismo,
la malattia della modernità. Lo capì perfettamente il suo contemporaneo
Baudelaire. Non così il supernovecentesco Adorno, che immaginando di demolire
il mito di Wagner costruisce a furia di sillogismi, o piuttosto di entimemi, la
più illuminante spiegazione del suo successo. La malattia di Wagner, le sue
fantasmagorie, come Adorno le chiama, sono il perfetto ritratto della
modernità, molto più di certi cincischiatissimi esercizi d’avanguardia. Un po’
come per Stravinskij: è vero che rappresenta un’umanità di automi. Ma cos’altro
è l’umanità di oggi? L’antiwagneriano Debussy, d’altra parte, proprio nel Pelléas et Mélisande, che senza Wagner
non esisterebbe, ne spiega con la musica le ragioni profonde: ‘La tristesse de
tout ce que l’on voit’.”
Dino
Villatico, rubrica “Voci critiche”, Classic Opera n°52, novembre/dicembre 2010, p. 64.
Commenti
Posta un commento
Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.