Cara Sissi…
Elisabetta d'Austria incoronata regina d'Ungheria (Georg Raab, 1867) |
innanzitutto,
non ti chiamavi così. E non eri
nemmeno principessa: nata duchessina in Baviera, divenisti imperatrice d’Austria
per matrimonio. Al limite, il tuo nomignolo era “Lisi”, diminutivo di “Elisabeth”;
divenne “Sisi” per il tuo modo peculiare di scrivere la “L” maiuscola iniziale.
E “Sisi” sei tuttora, nel nome del
museo che ti hanno dedicato a Vienna: il “Sisi
Museum”, appunto.
Poi…
Come sei diventata così famosa? Qualcuno dice che non meriti tanta attenzione,
soprattutto rispetto a personaggi femminili di grande spessore che non vengono
altrettanto spesso nominati (vedete Cristina Belgioioso Trivulzio, la regina longobarda Ansa, donne di scienza come Sophie Germain e Ada Byron, per
menzionarne solo tre). Giusto perché moristi in modo tragico e assurdo, perché
fosti la moglie dell’ultimo grande imperatore asburgico e Ernst Marischka girò
quei celebri film in costume con Romy Schneider nei tuoi panni, sei diventata
un’icona duratura. Forse, solo Maria Antonietta ti dà filo da torcere, nella
gara delle sovrane trasformate in
popstar.
Il punto è che essere donna nella Storia, già di per sé, significa spesso passare
in secondo piano. Significa essere “la moglie di…”, “la figlia di…”, “l’amante
di…”, eccetera. Tu, poi, avevi al tuo fianco nientemeno che Francesco Giuseppe,
imperatore longevo, tutt’altro che fantoccio e anche assai più popolare di te,
finché eravate in vita entrambi. Sia lui che sua madre non ti coinvolgevano
volentieri nella politica; si può dire che l’arciduchessa Sofia fosse più
imperatrice di te, per certi versi. Tu, visto il malessere che provavi a Vienna
e il tuo bisogno di rifugiarti nei viaggi e nella natura, non avevi forse la
voglia di lottare più di tanto per importi.
Quando
ti sei impuntata, però, hai ottenuto risultati eccome. Nel 1867, l’impero
austriaco divenne austro-ungarico,
con la rinascita del regno d’Ungheria,
di cui tu e Francesco Giuseppe foste comunque incoronati sovrani. Chi fu a
volere questo? Tu. Eri innamorata dell’Ungheria. Parlavi bene e volentieri l’ungherese,
facesti nascere la tua ultima figlia (la preferita) a Budapest e la tua ultima
dama d’onore fu una contessa ungherese: colei che ti assistette anche durante
la tua morte. Purtroppo per me, detestavi gli italiani… li trovavi infidi e
ipocriti. Visto com’è andata fra l’Italia e l’impero asburgico, posso solo
incassare e tacere. Neanche a farlo apposta, pure il tuo assassino era
italiano. Avevi doti profetiche, per caso?
Parlando
di Vienna, invece, fosti sempre tu a caldeggiare la costruzione di alloggi
laddove era andato a fuoco lo storico “Ringtheater”
nel 1881: il ricavato di vendite e affitti dei suddetti alloggi fu
destinato alle famiglie delle vittime dell’incendio. Era la Sühnhaus,
“Casa dell’Espiazione”. Sai chi andò ad abitarci? Sigmund Freud, proprio lui. È un peccato che non vi siate
incontrati… Credo che sareste stati ottimi amici.
Di
certo (senza offesa) gli avresti dato un bel po’ da lavorare. Non tanto perché
i pettegolezzi ti bollassero come “matta”, ma perché eri una personalità complessa e persino lacerata. Ti eri sposata a sedici
anni, per affetto sincero verso “Franzi”, ma già con lo spettro di un peso che
non avresti voluto portare.
Voglio tanto bene all’imperatore. Se solo non fosse imperatore… Se almeno fosse un sarto!
Sarà
pure stata una battuta, ma le battute dicono spesso e volentieri la verità.
Alla
Hofburg, il palazzo imperiale di
Vienna, eri totalmente fuori posto. Tu eri aristocratica sì, ma ruspante e
anticonformista. Ti esprimevi in dialetto bavarese più che in tedesco standard
e le lezioni dei tuoi istitutori erano interrotte spesso e volentieri da tuo
padre, che ti portava a fare gite in campagna. Da lui ereditasti anche il talento da amazzone. Amavi tanto i cavalli che non sdegnavi di
rimboccarti le maniche e abbeverarli, come una stalliera qualunque. Tuo padre
componeva canzoni nelle osterie e ospitava saltimbanchi nel cortile del suo
palazzo. Al castello di Possenhofen, trascorresti felici estati, durante la tua
infanzia. E non avevi ancora smesso di essere bambina, quando ti fidanzasti.
Ecco che, di botto, dovesti rinunciare a
essere te stessa, trangugiare una bella dose di “assennatezza” e recuperare
nel tempo di un anno scolastico odierno l’equivalente del sapere di una vita,
in termini di storia, politica e lingue straniere. Un’imperatrice d’Austria non
avrebbe certo potuto fare figuracce da ignorante.
Tu eri abituata a parlare con
chiunque, a giocare coi figli dei contadini e a tenere in casa animali d’ogni
sorta. Da quando ti sposasti, ti fu invece imposto un contegno fatto di distanze fisiche ed emotive, di freddezza, di ranghi da mantenere. Eri timidissima: l’attenzione concentrata su di te ti causava talora
malesseri insostenibili. Questo, anziché solidarietà, ti attirò scherno e
malignità. Chi non sarebbe un poco
impazzito, al tuo posto? Tantopiù che i Wittelsbach in Baviera (il tuo
casato d’origine) sembravano avere una certa predisposizione ereditaria ai
disturbi mentali… A furia di mantener puro il sangue blu, le cose vanno a
finire così. Pure tuo marito era tuo cugino, per dire.
Come se non bastasse, tua suocera era il tuo esatto opposto.
Perfettamente a proprio agio nella corte, vera eminenza grigia, donna di polso
e di testa, era una presenza non ignorabile. Ammirevole, ma assai meno
simpatica di te, vista la sua rigidità e la sua adesione alle convenzioni dell’epoca,
quelle sociali non meno di quelle religiose. Dev’essere per questo che l’arciduchessa
Sofia è divenuta per tutti “la cattiva”,
nel momento in cui sei diventata la star di film e cartoni animati. Eppure, fu
così delicata e protettiva con te, quando dovesti affrontare la prima notte di
nozze… una prova non da poco, per una giovane timorata dell’Ottocento. Non era
ostile al tuo matrimonio con “Franzi”: solo
perplessa. Da persona assennata e lungimirante, aveva capito che tu –
giovanissima e insofferente – non saresti stata a tuo agio, nei panni di un’imperatrice.
Previsione impietosamente esatta. Chissà… se Francesco Giuseppe le avesse dato
retta, le saresti pure stata grata. Di certo, hai dato a tua suocera molti esempi di buon gusto nel vestire, che
lei copiava con entusiasmo.
Tutte le lacerazioni nella tua personalità sono forse figlie di questa scelta sbagliata, di un “giuramento fatto quando non potevi capirne il senso” – così, grosso modo, definisti l’istituzione del matrimonio. Da quando il tuo io andò in frantumi dentro la gabbia dorata di Vienna, divenisti quel “cubo di Rubik” che conosciamo.
Elisabetta d'Austria con la parure di rubini, nel ritratto per le sue nozze d'argento (Georg Raab, 1879) |
Eri insofferente, bizzarra, persino golosa; eppure, di tua volontà, ti
sottoponevi a una ferrea disciplina
di diete ed esercizio fisico. Amavi la
poesia e studiavi Omero in lingua originale; eppure, i tuoi versi non hanno
un grande valore letterario. Sana e
sportiva, avevi però l’abitudine del fumo.
Avevi una visione politica liberale e all’avanguardia;
eppure, eri superstiziosissima. Avevi
una splendida e ineguagliabile chioma,
curata con la devozione d’un culto; ma il tuo maestro di greco ricorda che essa
ti pesava, come se fosse un corpo estraneo sul tuo capo. Visitasti i luoghi più
belli che potesti raggiungere; però, non amavi tanto essi, quanto il viaggio in sé. Vivesti come un’aquila
reale in una gabbia; una gabbia che era, allo stesso tempo, la garante dei tuoi
privilegi. Spendevi così tanto per te
stessa da farti bollare come egoista; eppure eri l’unica nobildonna a
occuparti di malati, orfani e feriti di guerra con una partecipazione e una sollecitudine che andavano oltre la pura
facciata. Eccettuata l’ultimogenita, facesti fatica a stabilire un rapporto coi
tuoi figli, cresciuti in buona parte dalla nonna paterna; ma l’unico maschio,
Rudolf, dovette a te la salvezza della propria salute fisica e mentale. Gli
educatori che gli erano stati imposti pretendevano infatti di dargli una tempra
militare precoce a suon di traumi. Per fortuna… aveva una madre. Una madre migliore di quanto la corte e lei stessa
credessero.
Sembravi una nobildonna
disimpegnata, con la testa fra le nuvole; ma, per l’indipendenza dell’Ungheria,
ti sei adoperata eccome. A dimostrazione del fatto che gli “eccentrici” e gli “assenti”
sanno spendersi benissimo, quando l’impegno coincide con la passione e non è imposto. Del resto, qualsiasi
causa fosse in nome della Libertà ti
era carissima. Tu sapevi che essa è come l’aria, sia in senso personale che
politico. La tua fragilità, unita alla
tua determinazione nel voler essere te stessa, è una delle principali
ragioni per cui piaci così tanto: quante ragazze, quante donne possono vederti
come un’eroina? L’eroina di una lotta che è anche la loro, magari di tutto il
genere femminile?
Alla fine, sei morta all’improvviso,
in modo violento e romanzesco come i tuoi sentimenti. L’evento ti ha
trasformata in personaggio per
tutti, lasciando che solo pochi conoscessero la tua persona. Complice anche la tua ferrea censura su qualsiasi tuo
ritratto non più giovanile, ti sei cristallizzata in quella “Sissi” che sorride
perfetta, con le stelle di diamante nei leggendari capelli. E per la bellezza
sei famosa, come una bambola; mentre, invece, saresti forse da ricordare come uno specchio dei tuoi tempi: epoca in
cui l’impero asburgico percepiva scricchiolamenti interni, in cui i nobili
cominciavano a cercare la propria identità personale al di là del rango e le
etnie comprese nei tuoi domini aspiravano sempre più all’indipendenza. Di
certo, la tua personalità frammentata come un bellissimo cristallo rotto
continuerà a dare filo da torcere ai biografi e ai semplici curiosi.
Probabilmente, è meglio cedere l’ultima parola alla contessa di Fürstenberg:
Nessun pennello e nessuno scalpello potranno mai riprodurre chi ella fosse realmente, e che cosa in lei fosse così incantevole ed attraente, era la sua intima natura che apparteneva soltanto a lei. Continuerà a vivere nella leggenda, non nella storia.
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