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Le buone intenzioni

La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. I vecchi proverbi tendono a prenderci alle spalle. Dev’essere questo il fascino pietrificante di Dracula Untold (2014; regia di Gary Shore). C’entra anche quell’Untold, che sottintende la pretesa di rivelare ciò che del celebre vampiro “non è stato ancora detto”. Impresa davvero difficile. Eppure, il film fa proprio questo. Qui, Dracula è Vlad III di Valacchia (1431 – 1476/77), Figlio del Drago e principe che difende il proprio popolo dalle pretese turche. L’intento storico-eziologico era già presente nella pellicola cult di Francis Ford Coppola, Bram Stoker's Dracula (1992). Qui, però, non si tratta solo di una cornice, bensì dell’intera trama. 

            Vlad III Dracula (Luke Evans)  è vassallo del sultano Mehmed II (Dominic Cooper), col quale ha condiviso l’infanzia. Il ricordo di quel tempo, però, non è idilliaco. Per un ragazzino allontanato dalla famiglia e addestrato come giannizzero, la reggia turca è un luogo d’incubi, dove si impara a uccidere senza provare sentimenti. La leggenda del sanguinario Dracula comincia così.
            Purtuttavia, per il Vlad adulto, questo sembra un periodo buio ormai sepolto. È marito innamorato di Mirena (Sarah Gadon), padre premuroso di Ingeras (Art Parkinson) e pacifico voivoda dei Valacchi. La sua abilità di negoziatore parrebbe aver allontanato lo spettro delle pretese turche. L’unico terrore, nelle sue terre, è quello rappresentato da un misterioso essere (Charles Dance) annidato in una grotta d’alta montagna.
            Però, Mehmed II torna. Non nelle vesti di “fratello”, ma in quelle di sultano che esige il tradizionale tributo: niente denaro, ma soldati. La storia di Vlad fanciullo deve ripetersi. La situazione non è per nulla mitigata dal fatto che il voivoda abbia cominciato a battere moneta autonomamente. Quel vassallo troppo sicuro di sé ha bisogno di una lezione.
            Ecco che Dracula si trova stretto fra il dovere di padre e quello di principe. Vuole mantenere a Ingeras la promessa di proteggerlo; ma farlo significherebbe attirare in Valacchia le truppe turche. Il dilemma sembrerebbe sciogliersi con una soluzione in stile Ifigenia in Aulide: il bambino si offre spontaneamente al sacrificio. Ma Vlad, all’ultimo momento, ci ripensa: «Non è compito di un ragazzino proteggere il proprio popolo».

            Qui comincia l’ambiguità del personaggio, prima ancora che lui corra alla grotta per chiedere al misterioso mostro di trasmettergli i propri poteri. Il senso di responsabilità di Dracula è, fondamentalmente, una forma d’orgoglio. Il Figlio del Drago, difensore dei deboli, è contemporaneamente Figlio del Diavolo, colui che prega un demone di dargli una forza imbattibile. Una volta ceduto alla superbia, non si torna indietro. Il dovere di difesa si trasforma in titanismo e sete di vendetta fini a se stessi, fermati solo dalla croce della coscienza e dall’argento della sottomissione. Eppure, in quel gorgo di (auto)distruzione, rimangono isole luminose. Dracula resta, fino in fondo, capace di amare. Quella capacità, che è il suo talismano, è però anche quella che ha avviato la sua spirale perversa e che la riattiverà ancora, in saecula saeculorum – perché, dalla vita presente, nasce quella futura. Let the games begin.


Commenti

  1. Io non sono andato troppo ad analizzare la psicologia di Dracula perchè ho preferito soffermarmi su altre cose...comunque qui c'è la mia recensione. :)

    http://www.glisbandati.com/recensione%2027.html

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    Risposte
    1. A me, è parso che Gary Shore abbia cercato di rifarsi al tipo di operazione inaugurata da Francis Ford Coppola (cornice storica + "ripulitura" da tutta l'iconografia in stile "Bela Lugosi"), ma senza la novità e l'accuratezza artistica di "Bram Stoker's Dracula"... Che ne dici tu?

      Elimina

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