Ho visto.
Ho visto gli atenei pieni di studenti e studentesse. Non
erano né figli di papà, né una massa incosciente. Erano curiosi, folli,
determinati, estrosi, brillanti, con l’orgoglio della coerenza e l’umiltà di
chi vuole imparare ancora. Non li aveva “selezionati” alcun supervisore.
Avevano raggiunto da sé il proprio luogo naturale, come gli elementi descritti
da Aristotele.
Avevano un
culto pacato e profondo della storia dell’università –della propria storia. Erano puntuali nel
seguire l’attualità, per avere una traccia sulla via che avevano davanti. Si
riconoscevano cittadini nei diritti e
nei doveri. Divenivano furie, se qualche sedicente Ministro tentava “riforme”
sprezzanti della libera universitas.
Coltivavano
diversi campi di studio e avevano sposato diverse visioni del mondo; ma
superiore a ogni loro passione era quella dello scambio dialettico. Le loro
voci argute tintinnavano l’una contro l’altra come argento. Essere messi alla
prova non era un’umiliazione, ma uno stimolo a trovare le proprie risorse.
Molti di
loro erano poco abbienti o in salute non perfetta; ma erano sostenuti da borse,
mense, alloggi, perché le loro menti erano poderi troppo fertili perché fossero
lasciati incolti.
Di ogni
istituzione e cerimonia sapevano vedere il grottesco e farne la parodia. Ma non
ne erano schiacciati, perché, alla pirandelliana maniera, avevano capito il giuoco. Ognuno di loro manifestava le proprie
inclinazioni e la propria storia personale, ma accantonava parte del proprio
ego per accogliere usi e costumi comuni ai nuovi fratelli. Non disprezzavano alcunché, se non il perbenismo e il
riso degli stolti. Sapevano ugualmente condurre studi eccellenti e godere
carnalmente senza false virtù. Non trovavano ridicolo indossare insegne del “passato”,
perché quel passato aveva consegnato loro il presente.
Mantenevano
una deferenza sobria verso i professori, ma, sotto quel velo, bruciavano un
affetto autentico e un’empatia di menti in costante interscambio. I sentimenti
più profondi non hanno bisogno di “libertà obbligatorie” e confidenze
ostentate.
Ogni cosa,
intorno a quei ragazzi e a quelle ragazze, pareva dire: “Lasciate ogni senso comune, o voi ch’entrate. Non ne avete bisogno.
Sarebbe un’offesa alla vostra intelligenza. Abbandonate ciò che vi castra. Siate
pazzi, non stupidi. Il vostro acume e il vostro confronto reciproco vi saranno
guide. Chi vi disprezzerà non sarà che uno sciocco.
E voi, che siete forse fra noi perché non avete di meglio da
fare, perché credete d’ingannare gli anni che passano, per seppellirvi in
polvere di libri, perché credete di 'diventar qualcuno' o per ottenere un pezzo
di carta, andatevene. Non è il posto per voi. State rubando il denaro dei
cittadini che finanziano l’università. State derubando voi stessi. E state
recitando una parte che non è la vostra, in cui altri potrebbero prodursi con
miglior profitto per tutti.”
Il loro
futuro? Anche quello assicurato dalla “forza di gravità” della loro
ineluttabile vocazione.
Ho visto
tutto questo.
Poi, è suonata la sveglia e sono andata a far colazione.
hehehe....quante seveglie hanno tuonato nel silenzio...solo per accoegerci che era ora di fare colazione..^_^
RispondiEliminaEppure forse quello spirito non è ancor morto del tutto; magari bisogna cercarlo sotto altra specie, come isole di luce in un mare di tenebra.
RispondiEliminaLe isole vivono. Tremi la tenebra! ;-)
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