Mi presentai quel
giorno a voi, con quattro
nuvole annodate in un
fazzoletto
ed un filo di caso
divinato.
Cosa facessi fra voi
mi rispose
Perché, vedete, io
sono quella
che si veste di
calzini e d’assurdo,
che mai non esce
senza aver lasciato
un pensiero sgualcito
sul cuscino.
Son quella che ha più
diavol che capelli,
che caprioleggia
sotto le sottane
delle Politicamente
Corrette
e Perbenissime
Proposizioni
-ma ci sarà bisogno
di levarsi
il cappello ai lor
pizzi? Abbiam vent’anni,
diamine, e un’anima
non diluita.
Son figlia di Caino e
di Giufà,
vado in giro
abbaiando alla luna
ballate improvvisate
sulla pioggia.
Da voi arrivar non
avrei potuto
che scrollandomi il
pelo sul tappeto,
spruzzando ovunque il
mio amore, il mio
dannato amore per le
cause perse,
per i casi dei persi
e per le stelle
che non s’incastrano
in costellazioni.
Oggi, son io; domani,
chissà.
A voi, da spiritello,
lascio in dono
ciò che spetta a chi
m’offre una scodella:
il dïamante nero del
mio cuore.
Mi piace questo stile un po' più sciolto, narrativo, da poesia-racconto.
RispondiEliminaViceversa, faccio più fatica con i componimenti più artefatti, con rime e metrica e tutto. Non so bene perché. Mi sembra che il fluire delle parole sia compromesso, e che le parole stesse, come uno ci lavora sopra più di un tanto, perdano quell'immediatezza che le rende comunicative.