Caro (?) Nonnista Ignoto,
ti invio la presente per una precisa ragione: mi hai
scartavetrato l’anima. E ci sei riuscito senza che neppure ti conoscessi. Senza
che ti potessi attribuire un volto. Perché so di te solo grazie a racconti di
terzi.
Lo so:
forse, non sono la persona più adatta a insegnare “equilibrio” e
“ragionevolezza”. Ho portato in fronte la sigla MQM (Minus Quam Merdam) con l’orgoglio con cui si porta un diadema. Ho
infilato la testa (udite, udite!) in una tazza del gabinetto: per conto mio, a
casa, solo per il gusto di… ehm, cambiare prospettiva. Ma ciò è da classificare
sotto “Personale Coefficiente di Pazzia”.
Ben altro è
ciò che tu fai fare. La terra che fai mangiare, i pavimenti che fai leccare, le
1200 flessioni che assegni. I collegiali universitari della mia età mi hanno
raccontato molte cose: sveglie notturne, finti processi, stanze “rifatte” (con
dislocazione/risistemazione creativa dei mobili)… Quelle che potrebbero essere
considerate divertenti, insomma. Cosa ci sia di divertente nel farcire bignè
con lo sperma, invece, lo sai solo tu.
Premetto
che ho un atteggiamento positivissimo sia verso la goliardia, che verso la matricolatio. Prima di tutto, perché sto
in un collegio dove lo shampoo si fa sotto la doccia e non nel WC. Dove “fare
il Kulo alle matricole” consiste nell’assegnare cartelloni e balletti, o
nell’accompagnarle in giro per bevute, dopo una sessione di trucco clownesco.
La cosa più “tetra”: essere svegliate a mezzanotte per vedersi tutto Nostalghia e compilare il relativo
questionario. Anche così è complicato miscelare il tatto con il rigore, il riso
con la serietà. Ora che sono al quinto anno di università, mi rendo conto di
quanto sia difficile guidare un’annata di matricole a socializzare
positivamente. Guidare, non vessare.
Hai idea di cosa significhi? Di quale sia la differenza? Sicuramente, no. Ti
dico soltanto che, da noi, il Kulo non richiede d’alzare nemmeno una piuma sui
corpi delle matricole. Senza che le “nonne” vadano in crisi d’astinenza per
questo.
Ho sempre
difeso goliardia e usanze collegiali contro le filippiche d’altri, intendendo
per “goliardia” ciò che facevano i clerici vagantes: parodiare le cerimonie solenni, andare a zonzo, bere e
amoreggiare. Lasciando stare le strumentalizzazioni che qualcuno fa della
questione per parlar d’altro… Ma sto divagando.
Ho lasciato
passare anche le “falangi” organizzate l’uno contro l’altro dai collegi rivali:
perché la regola dello scontro prevede di lanciare/ricevere gavettoni e
d’acchiappare gli avversari senza ferirli. Che tu ne approfitti per tirare
pugni, rompere denti o denudare gli avversari acchiappati è una licenza che ti
sei preso chissà come. Non mi risulta che queste ultime pratiche fossero
insegnate da Pietro Abelardo. Ma già… per te, probabilmente, “Pietro Abelardo”
è un pornoattore o qualcosa del genere.
In
conclusione: lévati di torno. Non ripetere il sacrilegio di sederti nel
consesso dei goliardi. Non solo perché fai del male alla gente (il che sarebbe
già un motivo sufficiente), ma anche perché noialtri abbiamo voglia di
continuare a questuare in feluca, circolare in turbante di spugna e cantare il Gaudeamus Igitur senza averti fra i
piedi. Vogliamo anche continuare a insegnare questo folklore universitario alle
matricole, a testa alta e senza doverci prendere il disprezzo riservato a te.
Allego alla presente un biglietto di sola andata per Quel Paese. Nel nome di
Bacco, Tabacco e Venere,
Erica Gazzoldi (nome di collegio “Gioia Santa”)
25 bolli, decana di Lettere presso il S. Caterina da Siena
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