Degli
stili di danza classica esistenti in India, ne sono stati rappresentati solo
tre; ma sono stati più che sufficienti per stupire con la loro accuratezza e
complessità di stimoli visivo-sonori. Il primo a entrare in scena è stato il Bharatanatyam: una rielaborazione delle
danze sacre un tempo eseguite nei templi dalle sacerdotesse dette “devadasi”.
Questo genere di performance, essendo strettamente legato al culto delle
divinità indù, dovette rimanere nascosto sotto i sovrani moghul (1526-1858),
che erano musulmani, e durante la colonizzazione inglese (1858-1947), per via
della connotazione sensuale ed equivoca che aveva assunto col tempo. Le danze
liturgiche indù furono poi rielaborate nel corso di una “riscoperta” della
cultura indiana.
La seconda esibizione manerbiese ha presentato il Kathakali, o “racconto di storie”: una forma di danza nata, appunto, per narrare vicende di dei, eroi e demoni. È originaria dell’India meridionale e richiede agli attori/danzatori una straordinaria preparazione tecnica; gli spettacoli, in India, durano sovente una notte intera. La funzione delle danze Kathakali è rendere fisicamente presenti le figure sacre che agiscono nella vicenda. A comparire nel Parco Rampini, per un tempo decisamente più breve, sono stati il dio Krishna e la sua sposa, in vesti e trucchi elaboratissimi.
Un altro
stile di danza citato durante la serata è stato l’Odissi, originario dell’Orissa, regione costiera dell’India
nord-orientale. Come in tutti gli altri tipi di performance osservati, non è
sfuggita la tendenza dei danzatori e delle danzatrici a piegare le ginocchia e
a percuotere il suolo coi piedi. Mentre la danza classica europea cerca lo
slancio verticale, quella indiana vuole il contatto con la terra, da cui
provengono l’appoggio e l’impulso necessari. I sonagli di danzatrici e
danzatori scandiscono il ritmo e anche il linguaggio delle mani è molto
elaborato, essendo in grado di tradurre interi testi. Ne è stato fornito un
dettagliato esempio con una danza volta a cullare e celebrare una possente dea
ancora neonata, destinata a divenire sposa di Shiva e a generare altri due
potenti dei.
Il “Caleidoscopio d’Oriente” non ha certamente esaurito
un patrimonio culturale troppo ricco per essere esplorato in una sola serata. Ha
però meravigliato e incantato il pubblico, aprendo porte forse impensate.
Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 207 (settembre
2024), p. 17.
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