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La pittura e la scultura s’incontrano a Manerbio

Tracciare i confini fra diverse forme d’arte non è sempre facilissimo. Nelle due scorse mostre ospitate dal Bar Borgomella di Manerbio, i colori della pittura e la concretezza della scultura si affiancavano – anche nella stessa opera. 

sculture di cristina brognoli a manerbio
Cristina Brognoli, Statuette femminili policrome

            Dal 24 aprile al 14 maggio 2022, sono state esposte le realizzazioni di Cristina Brognoli. Pezzi emblematici della mostra erano sculture: statuette femminili policrome, modellate nello stesso stile della Venere di Willendorf, ma con qualche ricercatezza in più. L’artista le aveva addirittura trasformate in oggetti funzionali: portafiori, porta-lumini…

            Legno e foglia d’oro facevano invece da sfondo all’ “Arcangelo Michele” (2014), sospeso in un’atmosfera d’eternità. Sembravano quasi ingenui, invece, i disegni ad acquarello e cera della serie “Afghanistan” (2021): da vicino, rivelavano invece espressioni di caos e disperazione.

            La “Natura morta con paesaggio” (2002) era stata realizzata in colori ad olio su velluto. La presenza di una tenda creava una lieve illusione di tridimensionalità. Una serie di acrilici su legno rappresentava la “Storia della salvezza” (2002): tavolette con scene bibliche tratteggiate in uno stile fra l’onirico e l’astratto. Onnipresente era il color oro dell’eternità, come nell’ “Arcangelo Michele”. Anche Mosè e gli angeli annunciatori della Resurrezione erano fra i temi biblici favoriti da Brognoli. La solennità dei temi, in alcune opere, non ha escluso l’arte di recuperare materiali – nello specifico, manifesti pubblicitari. A olio su lino era invece stata realizzata “GiocOnda” (1993), retaggio di una performance teatrale al Politeama. Come suggerisce il titolo, il sorriso della Gioconda era inscritto in un’onda nel mare aperto. Merita una menzione “L’ora del dolore”, realizzato appositamente per la mostra. Era dedicato alla guerra in Ucraina: un quadrante d’orologio era coperto di nero e vi si agitavano figure umane deformate, urlanti.

            Questa installazione è stata seguita dalla mostra personale di Zefirino Buono (15-28 maggio 2022). Nella sua arte, si notava un incontro fra Dadaismo e Pop Art, con un fondo filosofico e ironico. Le quattro stagioni erano rappresentate da alberi realizzati con strisce di juta, su sfondi differenti.

            Particolarmente significativa era la serie “Panta rei”, ovvero “Tutto scorre” (2011/12). Essa mostrava il graduale arrugginimento di un tappo di Coca Cola. Bisognava avvicinarsi, per leggere le scritte che riportavano il monito…

           
Oltre al tappo metallico, erano massicciamente presenti le scarpe da ginnastica, come soggetti di tele “in altorilievo”. Una di esse citava: “El purtava i scarp de tennis”, verso di una celebre canzone di Enzo Iannacci. Così, in una scarpa, si raccoglieva un’intera storia di sogni e solitudine.

            Un’altra canzone riecheggiata da Buono era: “Gracias a la vida que me ha dado tanto”, di Violeta Parra. Il testo svolazzava scritto su una cravatta, una delle tante trascinate dalla brezza ne “La vita e il vento” (2011).

dipinto di zefirino buono a manerbio
Zefirino Buono, Libiamo
            Provocatorie, ma sempre di grande umanità, erano le opere dedicate al mestiere più antico del mondo. “Libiamo” (1995), il famoso brindisi della “Traviata” verdiana, era stato trasposto in un locale di malaffare “vintage”. “Chicca e la sua amica” (2011/12) erano due prostitute ritratte in uno stile fumettistico coloratissimo. Nel medesimo stile era stata dipinta la Prima Mostra dell’Amico del Cane, in “18-19 marzo 1994”: tanta e varia umanità rappresentata nella frenetica vita cittadina.

            La morte assumeva invece l’aspetto quotidiano di un pacchetto di sigarette con la scritta “Liberté, égalité, fraternité”. D’altronde, la forza della “Livella” (come Buono l’ha chiamata) è proprio quella di passare inosservata – oltre a non guardare in faccia nessuno.

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